Nessuna concessione a giochi di Palazzo. Giuseppe Conte vive la vigilia della sua giornata cruciale convinto che una crisi di governo vada ratificata con chiarezza in Parlamento, senza sotterfugi e senza tentativi di dilazione. Con la Lega ormai il rapporto è insanabile, e anche se Salvini ci ripensasse Conte salirebbe comunque al Quirinale, per discutere con il capo dello Stato di tutti i possibili scenari. La via delle dimissioni è la più probabile, di sicuro si certificherà l’apertura della crisi. Dal Colle si colgono segnali contraddittori da parte dei partiti ma ci si appresta ad avviare le consultazioni.
Lo scenario meno probabile è che Conte rimanga a Palazzo Chigi, non ha voglia di proseguire l’esperienza di governo con soluzioni pasticciate, con non semplici accordi programmatici fra Pd e M5S. Ha detto a tutti di seguirlo su Facebook, attraverso il Parlamento parlerà innanzitutto al Paese, e il suo sarà un discorso senza fronzoli, una disamina obiettiva dei 15 mesi al governo, senza fare sconti a nessuno, né alla Lega né tantomeno ai 5 Stelle, ma la parte centrale sarà sicuramente incentrata su quella «sleale collaborazione» che ha già denunciato da parte di Salvini, accusandolo di manipolare in pubblico atti privati e riservati, persino comunicazioni istituzionali.
Il grande riserbo sul discorso che terrà alle Camere è stato in qualche modo voluto da lui stesso e dai molteplici scenari che si possono presentare, compreso l’intreccio con la quarta lettura sulla riforma del taglio dei parlamentari, possibile ma improbabile di fronte allo scenario di immediata rottura.
Sicuramente la parte centrale del discorso sarà dedicata al difficile rapporto di questi mesi con Matteo Salvini, un confronto che la settimana scorsa è sfociato nella doppia lettera di accuse e risposte che hanno comunque segnato uno spartiacque. La questione era sui migranti, ma il metodo era lo stesso di tante altre occasioni. Ma quando un vaso si rompe c’è poco da fare, e il rapporto con Salvini sembra irrimediabilmente compromesso. Non solo sui migranti, ma anche su tanti altri argomenti, a cominciare dai decreti sicurezza, forzati da Salvini sino a suscitare le perplessità del Colle.
Per tutti questi motivi lo scenario più probabile resta quello che Conte vada a a dimettersi durante o alla fine del dibattito parlamentare, non vuole essere lui a gestire un’eventuale fase di governo di transizione, non vuole mettere la faccia a soluzioni pasticciate, di cui al momento si vedono solo i tatticismi ma nessun vero progetto di largo respiro. Preferisce stare a guardare, magari andare al G7 di Biarritz a fine mese con la veste di dimissionario e rinunciare alla vetrina dell’Assemblea dell’Onu, i primi di settembre.
Del resto Conte tutto vuole tranne che sopravvivere a se stesso, si ritiene fuori da qualsiasi totonomine europeo, sarebbe inelegante nominare sé stesso, è consapevole che ad ottobre il governo dovrà affrontare una manovra economica da fare tremare i polsi, 53 miliardi di Bot in scadenza a settembre da ricollocare, più che una manovra finanziaria, senza dimenticare l’Iva da sterilizzare e un taglio delle tasse che non potrebbe essere più confuso, se non ci fosse una ricetta chiara e in mancanza di un accordo alla luce del sole fra Pd e grillini. Un terreno su cui si trova perfettamente d’accordo con Sergio Mattarella, che ha sentito anche ieri, e che non ha alcuna intenzione di dar vita a soluzioni di compromesso di corto respiro.