«Il 20 agosto sfiduciamo Conte». Salvini non deflette. Dovrebbe essere la miglior risposta a quanti temono il più clamoroso dei colpi di scena: una riedizione del governo gialloverde. Insieme al fatto che anche ieri è stata giornata di scontri serrati tra leghisti e 5 Stelle. Con Salvini e Di Maio che a Genova si ignorano al punto di neanche salutarsi.
La giornata inizia con l’intervista al Corriere di Salvini: nel futuro governo da lui presieduto «sarà doveroso verificare il reddito di cittadinanza». E cioè, il caposaldo del programma M5S. Poi, interviene il viceministro all’Economia leghista, Massimo Garavaglia, tra i suoi più fidati collaboratori: «Il 70% di chi chiede il reddito probabilmente non ne ha diritto, la misura va rivista». Per i 5 Stelle l’uscita è «la più grande cretinata mai sentita». Poi, la viceministra Laura Castelli annota: «I numeri comunicati da Garavaglia non corrispondono al vero. A me non risulta che la Guardia di finanza abbia fornito dati in tal senso». Mentre per il presidente Inps, Pasquale Tridico, «al momento non ci sono dati» su possibili irregolarità.
Nelle chiacchiere del più stravagante Ferragosto politico della storia recente, le formule di governo, con tanto di nomi e cognomi, proliferano. Ad accendere il sospetto di manovre in corso tra i due (ex) alleati, il ministro leghista Centinaio: «Io sono quello che non chiude mai le porte fino in fondo…». I 5 Stelle rispondono invitandolo alle dimissioni, anche per aver firmato, a governo agonizzante, la nomina triennale di Andrea Comacchio a direttore di Agea.
Il punto arriverà martedì, quando Conte farà le sue comunicazioni in Senato, dove martedì è stata tenuta a battesimo una prima maggioranza M5S-Pd. Difficile che si arrivi al voto delle mozioni di sfiducia, quella presentata dalla Lega nei confronti del premier, così come quella contro Salvini presentata dal Pd. Se infatti Conte dopo aver svolto le sue comunicazioni al Senato dovesse salire al Colle per rassegnare le sue dimissioni, non ci sarebbe più spazio nemmeno per il voto definitivo sul taglio dei parlamentari rivendicato dai 5 Stelle ma anche dalla Lega.
Salvini, in ogni caso, continua a dare l’altolà, «no a giochini di palazzo o governi strani», l’unica via sono le elezioni in autunno. Anche se ieri il suo vice nella Lega, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, ha espresso qualche dubbio sulla strategia seguita. Se la crisi fosse stata aperta prima, sarebbe stato «probabilmente» più facile andare al voto: «Quando è stata conclamata la diversità di vedute, dalla giustizia alla Tav, Salvini ha deciso di aprire la crisi. Sono le decisioni di un capo, un capo decide sempre lui da solo». Quanto alle dimissioni di Conte, Giorgetti ribadisce: «Noi pensavamo che si dimettesse l’altro ieri. Però vuole aspettare il 20, aspettiamo…». La giornata si chiude con gli ultimi tuoni di Salvini: «Saranno giornate importanti le prossime, sventeremo con ogni mezzo possibile un governo truffa Pd-M5s che sarebbe la rovina di questo Paese».