Così l’avventura del governo gialloverde è finita. Da tempo, aveva cambiato colore. Era divenuto verdegiallo. Ma ormai i due colori stridevano. Incompatibili. E la rissa continua che lo accompagnava non era più giustificabile come uno stile di lavoro. Per sottolineare distanze e differenze. Il governo Conte, in effetti, si era tradotto, fin dall’inizio, in un governo Di Maio-Salvini. Meglio, Salvini-Di Maio.
Ma ormai anche questa formula si è esaurita. Troppo squilibrio fra i due vice. E fra i partiti della maggioranza. Il rapporto di forza in Parlamento, disegnato dalle elezioni politiche del 2018, si è rovesciato, come segnalavano da tempo i sondaggi. Come hanno confermato, da ultime, le elezioni Europee. Ormai, al governo c’è un solo partito e un solo capo. Un solo Capitano. Salvini. Anche se il grado di fiducia nei confronti del governo e del suo presidente resta elevato (circa il 60%, secondo Demos). Ma un premier troppo forte, per Salvini, costituisce un possibile problema… Meglio votare presto. Anzi, subito. Prima di affrontare le tensioni prodotte dalla legge di bilancio. Meglio battere il ferro fin quando è ancora caldo. Così, mentre discende le coste dell’Italia (le uniche “piazze piene”, d’estate), Salvini ha chiamato il Paese alle urne. Chiesto “pieni poteri”.
Abbandonando gli alleati alla loro sorte. Così, è facile pensare che si andrà presto a nuove elezioni. Alle quali la Lega del Capitano si presenterà, per vincere e governare. Da sola. Oppure affiancata da soggetti politici in sintonia, se non sottomessi, alla Lega. O meglio: a Salvini. Perché la novità, rispetto al passato recente, è che oggi Salvini viene prima della Lega. Com’è stato, in passato, per Berlusconi e Forza Italia. Così oggi Salvini candida se stesso. La Lega diventa un veicolo. Per trainare l’uomo solo al comando. Una prospettiva che piace molto agli italiani. Visto che oltre due terzi, fra loro, pensano che “a guidare il Paese ci vorrebbe un uomo forte”. Bene: l’uomo forte oggi è pronto a guidare il Paese. Alla testa degli italiani. Che, in larga maggioranza, lo attendono. Secondo i sondaggi più recenti, infatti, la Lega, insieme ai FdI, supererebbe il 45%. Una base elettorale che, con il Rosatellum, potrebbe permettergli di raggiungere l’obiettivo. Soprattutto se impersonata da un Capo popolare come Salvini. Affiancato da un gruppo di esperti nella comunicazione molto abili. Così, presto, potrebbe andare in onda il reality: “Salvini, solo contro tutti”. L’unica soluzione possibile ai nostri problemi. Generati dalla confusione.
Dall’in-decisione. Salvini: unico baluardo contro l’invasione. Contro gli stranieri. Contro l’Europa che non ci aiuta.
Mediatore e garante, a metà fra la Russia di Putin e gli Usa di Trump. È possibile, e anche più, che questo progetto si possa realizzare. I sondaggi, come si è detto, delineano un clima d’opinione favorevole. Alla Lega e soprattutto a Salvini.
Tuttavia, le elezioni sono un’altra cosa. Come abbiamo visto in altre occasioni, nell’ultimo decennio. Durante il quale la personalizzazione si è accentuata. E le elezioni si sono trasformate in una faccenda – in una competizione – “personale”. Ma il clima d’opinione nei confronti di un leader cambia, può cambiare. In fretta. E i “vincitori annunciati”, alla prova del voto, non sempre trionfano. Gli esempi, a questo proposito, non mancano. Ne rammentiamo solo alcuni. Bersani, alle elezioni del 2013, aveva già vinto.
Così dicevano i sondaggi. Sbagliavano. E Bersani, da allora non si è più ripreso.Prima di lui, nella politica italiana, si affermò Mario Monti. Salvatore della Patria, dopo la caduta di Silvio Berlusconi, alla fine del 2011. Un non-politico. O meglio: un “tecnico al governo”. Raggiunse, nei sondaggi d’opinione, indici di fiducia elevatissimi. Molto superiori al 70%. Così decise di trasformarsi egli stesso in un partito. Fondò “Scelta Civica”, a propria immagine e somiglianza.
Alle elezioni del 2013 ottenne un buon risultato. Ma inferiore alle attese. E si avviò, rapidamente, al declino.
Prima di lui, Gianfranco Fini, dopo la rottura con Silvio Berlusconi, nel 2010, tentò a sua volta, la strada del partito personale. “Futuro e Libertà”, che, alle elezioni del 2013, ottenne meno dello 0,5% dei voti. Cioè: nulla. Per risalire più vicino ai nostri tempi, possiamo evocare un caso molto diverso. Il Pd guidato da Matteo Renzi. Un partito con radici profonde. Tuttavia, Renzi ne personalizzò il profilo e l’immagine. Io stesso lo ribattezzai PdR. Il Partito di Renzi.
Che ottenne risultati importanti. Soprattutto alle elezioni Europee del 2014. Tuttavia, successivamente, declinò.
Soprattutto dopo il referendum istituzionale, trasformato da Renzi in un referendum personale. Che fallì, determinando il rapido declino di Renzi e del Pd (R).
Naturalmente, Salvini non è Renzi. Tanto meno Monti e Fini. La sua Lega, oggi, ha una base larga e solida. Eppure, trasformare le elezioni in un referendum personale rischia di produrre effetti imprevisti anche per lui. Le elezioni Europee non fanno testo. Come dimostra l’esperienza di Renzi. Ormai l’elettorato è mobile. Il voto: è divenuto liquido. E, comunque, la sua popolarità personale è cresciuta in un quadro di “coalizione”. La coabitazione con il M5s ha permesso a Salvini di scaricare su di loro le colpe dei problemi irrisolti. Peraltro, il premier Giuseppe Conte ha offerto un’immagine rassicurante della coalizione. E ha favorito l’azione di Salvini. Il vero capo. Il Capitano: comanderà da solo. Senza “ammortizzatori”, intorno a sé. Con qualche rischio. Perché recitare la parte del “vincitore annunciato” non sempre conviene …