Nel tumulto psicologico di questi ultimi giorni, in cui sembrava a un passo dal dichiarare la crisi, prima di fare due passi indietro e lasciare che fossero i suoi due governatori pitbull a scatenarsi, Matteo Salvini si è consolato con i sondaggi. Li ha letti, ha tirato un sospiro di sollievo e ha cominciato a cullare un sogno. «Possiamo arrivare al 40%» ha detto, condividendo il pensiero con i suoi più stretti collaboratori. Ma il sogno è anche di più: governare da solo, senza grillini ovviamente, ma anche senza il peso di Silvio Berlusconi. «Ci voglio provare». Sono giorni in cui il governo traballa come mai ha fatto. Potrebbe essere la solita sceneggiata, come dice il Pd, ma potrebbe essere anche la volta buona, come sostengono tanti leghisti che tifano per il divorzio, o Giancarlo Giorgetti che è arrivato al punto massimo della pazienza. Il sottosegretario che è salito al Quirinale a consegnare a Sergio Mattarella il suo gran rifiuto alla possibile carriera da commissario Ue, è stato vissuto dai parlamentari della Lega come un segnale: «E’ finita» si sono detti.
In realtà Salvini gira sempre intorno al pulsante rosso, indeciso su quando premerlo, cultore dell’idea che tutto va fatto con tempismo perfetto, alla giusta maturazione. Il vicepremier ha atteso con ansia i primi sondaggi dopo le rivelazioni dell’audio rubato all’hotel Metropol di Mosca e l’inchiesta sui presunti finanziamenti russi alla Lega. Quando sono arrivati gli si è stampato un sorriso in faccia. Va detto che la truppa di Luca Morisi, l’uomo social del leader, che guida i «ragazzi», come li chiama Salvini, compulsando chat, tweet e sfogatoi vari, si diceva già certa che il consenso del Carroccio non sarebbe uscito scalfito. Anzi.
Per Giorgetti e per i governatori del Nord, stufi delle resistenze grilline sulle autonomie, è un buon motivo per rompere. Non per Salvini. Raccontano di una discussione molto accesa tra il vicepremier e il suo numero due, che ancora siede da sottosegretario a Palazzo Chigi. Per Giorgetti non c’è più ragione di aspettare, anche perché l’autunno porterà una manovra di Bilancio che potrebbe gravare tutta sulla Lega e sulle promesse del suo leader. Salvini invece vuole temporeggiare un altro po’, convinto di poter prosciugare ancora il consenso dei 5 Stelle. E vuole anche vedere cosa succederà in settimana, tra i vertici eil Cdm sull’ autonomia e l’intervento di Conte atteso in Senato mercoledì sul Russiagate, vissuto con un misto di apprensione e ironia dal leghista. «Stiamo al governo solo e soltanto per fare le cose importanti. Se non riusciamo, andremo da soli ma non ci fermiamo. Abbiamo aspettato anche troppo» ha detto Salvini ieri sera. E poi ancora l’Europa, con quel sì alla presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen che per Salvini li ha marchiati a vita. «Chi in Europa sta con Macron e Merkel in Italia non può stare con la Lega». «Ormai nel Paese i 5 Stelle non esistono quasi più» si ripetono nella squadra del ministro: «Gli italiani hanno capito che non sono in grado di governare». Per Salvini l’Italia si sta polarizzando tra la Lega e il centrosinistra . E questo significa dividersi i voti di chi sta in mezzo. Anche Luigi Di Maio non è più considerato dal leghista il suo antagonista. Vive invece con fastidio l’attivismo del premier. «Conte – ripete – ormai si comporta da vero capo politico del M5S».
La legge elettorale viene in sostegno alle sue ambizioni. Provare ad agguantare il 40%, magari stabilendo patti federalisti al Sud con chi, come Nello Musumeci, potrebbe aiutarlo a conquistare i seggi uninominali che erano prerogativa del M5S. Ieri, il governatore della Sicilia, come il ligure Giovanni Toti, a sua volta in rotta con Berlusconi, gli è venuto in soccorso, unendosi al coro dei presidenti di Regione che spingono per l’autonomia, chiedendo di essere convocato da Conte ma candidandosi anche a essere lui garante del Mezzogiorno. Il Rosatellum permette di correre da soli. Se non dovesse farcela, un’alleanza – con Meloni, Forza Italia o entrambi – sarà sempre possibile.