«Spero di andare una settimana in ferie ad agosto, ma ormai non faccio più programmi». Giovanni Tria sarà anche stanco, ma in questo afoso fine settimana romano il ministro dell’Economia sembra – e probabilmente è l’uomo più soddisfatto dell’intero governo. Si è messo alle spalle la procedura d’infrazione della Commissione Ue sui conti pubblici italiani e ha di fronte – Lega e Cinque Stelle permettendo qualche settimana di tregua nella campagna elettorale permanente delle forze di governo. Per ora si gode «il ritorno della fiducia nell’Italia» testimoniato dal calo dello spread, e più che impegnarsi sulla flat tax promette per il prossimo anno «una riduzione delle aliquote Irpef per il ceto medio».
Ministro, lei ha incassato un indubbio risultato evitando per la seconda volta in sei mesi la procedura per deficit eccessivo dalla Commissione. Come ha fatto, visto che la sua maggioranza non fa nulla per avere buoni rapporti con l’Europa?
«Quello che è avvenuto non dipende dai rapporti più meno buoni, ma dalla chiarezza dei numeri e dalla lealtà nei comportamenti. Abbiamo amministrato bene la finanza pubblica, monitorando spese e entrate. Nell’assestamento di bilancio 2019 presentato alla Commissione non abbiamo tagliato nessuna spesa, abbiamo avuto dividendi forti da Cdp e Bankitalia, abbiamo preso in considerazione i buoni risultati sul fronte delle entrate, anche ma non solo, per il recupero dell’evasione. E poi il governo nel suo complesso ha deciso che tutto ciò che non era stato richiesto a copertura delle domande per il reddito di cittadinanza e quota 100 fosse bloccato per contenere il deficit. Il risultato finale è buono non solo perché abbiamo evitato la procedura d’infrazione, ma anche perché la credibilità nazionale ne è uscita rafforzata».
Il tema, ora, è quello del prossimo anno. Nella lettera a Bruxelles avete garantito che vi atterrete alle regole del patto di Stabilità. Quale obiettivo di deficit/Pil avete fissato?
«Quest’anno abbiamo già fatto un aggiustamento strutturale forte. Per l’anno prossimo l’obiettivo del governo è riportare il debito su un sentiero di riduzione, anche e soprattutto attraverso un rilancio della crescita economica. Abbiamo un debito alto. Con una crescita vicina allo zero quest’anno dobbiamo almeno stabilizzarlo. Penso che con le misure prese siamo riusciti a rassicurare i mercati, che significa rassicurare famiglie e imprese. È una condizione necessaria se vogliamo avere qualche effetto dalle misure espansive prese anche con la legge di bilancio. Per il 2020 è però prematuro mettere delle cifre: vedremo come andrà l’economia italiana nel secondo semestre, anche nel contesto di quella europea».
Comunque per il 2020 si parla di trovare risorse per 40-50 miliardi, compresi i 23 miliardi per evitare il rialzo dell’Iva. Come farete?
«Anche per l’anno prossimo prevediamo di avere un miglioramento delle entrate fiscali, mentre i risparmi su quota 100 e reddito dovrebbero essere maggiori. Inoltre intendiamo reperire risorse con un’accurata “spending review” e un attento esame delle “tax expenditures”. E questo servirà per rispettare l’impegno del governo, approvato dal Parlamento, di mantenere gli obiettivi di bilancio non attraverso un aumento delle tasse, ma con il contenimento della spesa. Grazie al cambiamento della politica monetaria e a un calo dei tassi d’interesse sul nostro debito potremmo poi avere condizioni anche più favorevoli di quelle attuali. Certo, non sarà facile. Ma anche quello che abbiamo appena fatto non sembrava facile».
Le vostre previsioni di crescita per il 2019 sono allo 0,2%. Le rivedrete?
«Per ora non le correggiamo. La crescita dipenderà dalla capacità di creare fiducia e rimettere in moto gli investimenti pubblici. Qui sta il nodo, anche se è davvero molto difficile scioglierlo. Scontiamo problemi delle imprese, della burocrazia della scarsa capacità di progettazione tecnica della pubblica amministrazione, specie da parte degli enti locali. Siamo intervenuti per aumentarne la capacità di portare avanti gli investimenti pubblici e con la riforma del codice degli appalti puntiamo a rendere più veloci le procedure. Con il decreto Crescita abbiamo anche aumentato le spese di un miliardo per sostenere gli investimenti degli enti locali e delle imprese».
Non aumentare le tasse, anzi ridurle. Questo chiede la maggioranza. Come?
«Se c’è una cosa a cui veramente credo è la riduzione dell’Irpef, soprattutto per le classi medie, anche attraverso una riduzione delle aliquote e un accorpamento degli scaglioni. Sulle classi di reddito inferiori, anche grazie alla “no tax area”, la pressione effettiva dell’Irpef è già inferiore al 15%».
Vedremo la flat tax che vuole la Lega, che costerebbe 10-15 miliardi?
«Al ministero stiamo studiando da tempo come farla, in modo progressivo ma comunque significativo. Le coperture si possono trovare, è sempre un problema di scelte politiche».
Per quest’anno c’è stata una correzione di bilancio. Qualcuno, anche nella sua maggioranza, potrebbe dire che vi siete arresi alla dittatura dello spread.
«La dittatura dello spread non esiste. Lo spread è una questione di mercato e i mercati ci hanno risposto bene, come ci aspettavamo. Ma anche adesso lo spread è alto, non solo rispetto ai fondamentali della nostra economia, ma anche rispetto alla capacità che l’Italia ha sempre avuto, ed ha anche oggi, di mantenere la sostenibilità del debito».
A che livello pensa che dovrebbe stare lo spread italiano?
«Al livello della Francia, o perlomeno a quello della Spagna. Non si vede davvero il motivo per cui dobbiamo stare a livelli più alti, se non per incertezze che si sono create».
Incertezze alimentate anche da alcuni dibattiti interni. Pensi a quello sui minibot…
«Lo considero un dibattito esaurito, che ci potevamo risparmiare. Anche perché i pagamenti dello Stato alle imprese stanno andando molto meglio che in passato».
Ogni tanto tornano anche i timori di un possibile consolidamento o di ristrutturazioni del debito.
«Non ne vedo alcun motivo. La questione non esiste e considero anche il solo parlarne un atto di irresponsabilità».
Come giudica il risultato delle nomine europee?
«L’Italia ha avuto una voce limitata, perché non è nella maggioranza che è emersa in Europa. Ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo vissuto un periodo eccezionale, con tre italiani al vertice delle istituzioni europee. Non potevamo pretendere che si continuasse così. Ora mi aspetto da chi è arrivato una visione ampia di come l’Unione può conservare il suo ruolo nel mondo, anche attraverso riforme necessarie. E penso che l’Italia debba giocare un ruolo maggiore ricollegandosi ai grandi Paesi proprio in questo processo di riforme. Del resto sono cambiamenti che chiediamo noi, ma anche la Francia e in una certa misura la Germania».
Insomma, una presidente di Commissione come van der Leyen non è un rischio per l’Italia? Non vale l’equazione per cui una Commissione a guida tedesca significherà maggior rigore?
«In genere cerco di non fare processi alle intenzioni. E poi non penso che l’Italia debba richiedere minor rigore; deve chiedere politiche diverse, da applicare con rigore»
In questo anno e passa è stato più difficile trattare con l’Europa o con la sua maggioranza di governo?
«È stato difficile il complesso della situazione, far convergere le esigenze della politica con quelle dell’economia. È accaduto in Italia ma anche in Europa. Forse è dipeso anche dal fatto che eravamo tutti nuovi, ma è una fase che mi pare superata. Al di là della discussione politica, e a volte elettorale, il governo si sta muovendo in modo equilibrato».
Come giudica il caso Sea-Watch e la scarcerazione della capitana Carola dopo che ha speronato una imbarcazione della Guardia di Finanza?
«Bisogna sempre avere rispetto per la magistratura, ma si rimane perplessi di fronte a decisioni che contrastano con il buon senso. Questo indipendentemente dai giudizi che si possono dare sulle politiche migratorie e sulle migrazioni. Mi piacerebbe che ci fosse un po’ di unità nazionale di fronte a una violazione palese delle leggi di uno Stato democratico come quella che è avvenuta».