Un’ansia di potere d’acquisto e qualità della vita attraversa gran parte delle ricette provate dai governi di questi anni. Il reddito di cittadinanza di M5S e il reddito di inclusione del Pd contro la povertà. «Quota 100» e i piani di uscita anticipata del Pd per chi ha urgenza di andare in pensione.
Il bonus da 80 euro e la «flat tax» formato familiare per i redditi medio-bassi. Il salario minimo e il decreto «Dignità» voluti dai 5 Stelle per provare a migliorare la qualità del lavoro. Non tutti questi passi hanno la stessa logica, né pari insuccesso. Ma a ogni dato di fiducia in coda al resto d’Europa, a ogni trimestre di caduta del prodotto lordo (14 dal 2009, compreso quello in corso secondo l’Istat) l’ansia dei politici di dare risposte cresce.
Sempre più spesso quelli reagiscono con i soli strumenti che — sperano — danno risultati in tempi brevi: deficit o decreti volti a cambiare per legge, subito, forze dell’economia che hanno ragioni profonde. Tanta frenesia è comprensibile in un Paese che ha trascorso in recessione un terzo dell’ultimo decennio ed è ancora lì, sull’orlo. Se però premier, vicepremier e leader vari dedicassero mezza giornata alla Penn World Table, forse diventerebbero più tranquilli. Capirebbero quello che serve e non serve fare per spezzare l’incantesimo.
La Penn World Table è una banca dati che racconta quante persone lavorano, quante ore e quanto prodotto interno lordo viene generato in ciascun Paese da decenni. Se i politici la leggessero, vedrebbero che non parlano mai (eccezioni, poche) di quel che davvero non va: un anno di lavoro di una persona in Italia produce sempre meno valore rispetto a tutti i principali concorrenti; eravamo nettamente davanti oltre trent’anni fa, siamo stati superati o stiamo per esserlo oggi. Siamo a un punto tale che ormai, in media, un’ora di lavoro in Germania genera in media 65 dollari di prodotto lordo, una in Francia 60 ma una in Italia appena 50: tedeschi e transalpini sono rispettivamente più efficienti del 30% e del 20%, a costi orari simili. La debolezza dei redditi e condizioni di lavoro così sgradevoli da far sognare (e votare per) le pensioni anticipate: tutto nasce da qua. E non c’è “decreto dignità”, o flat tax, o bonus 80 euro in grado di sciogliere questo nodo che tiene prigioniero il Paese. Quelle misure sono costose aspirine per un male diverso, e più serio.
Per rendere i Paesi e momenti nel tempo paragonabili Penn Word Table esprime i dati i dollari a valori costanti, ripuliti dell’effetto inflazione. I risultati più recenti (al 2017) in apparenza non vedono l’Italia fuori linea: un anno di lavoro di un addetto genera in media 92 mila euro di prodotto in Francia, 88 mila in Germania, 86 mila in Italia, 81 mila in Spagna, 79 mila in Gran Bretagna. Ma il percorso dal quale si è arrivati qui dovrebbe sollevare sospetti: l’Italia è il solo Paese del gruppo dove un anno di lavoro di una persona produce meno valore rispetto all’inizio del secolo; l’apertura a miliardi di nuovi consumatori nel mondo, il digitale e l’automazione, tutto è passato senza effetti. O addirittura con effetti negativi, ma solo in un Paese. Dal Duemila gli altri hanno aumentato il prodotto annuo per addetto di 11 mila dollari (Francia, Germania) o dieci mila (Gran Bretagna, Spagna). Noi lo abbiamo diminuito di duemila.
Difficile pensare sia colpa dell’euro, e non solo perché fanno meglio tutti gli altri Paesi con la stessa moneta. In realtà l’Italia era in vantaggio in termini di dollari prodotti all’anno per ciascun lavoratore trent’anni fa (più 16 mila sulla Germania, più 6.700 sulla Francia), ma già dal 1990 inizia a perdere terreno fino a subire il sorpasso in questi anni.
Ancora più chiara è l’intera vicenda se si misura il prodotto lordo per ora lavorata, in media. All’inizio di questo secolo in Italia si generavano 48 dollari ogni sessanta minuti di impegno, circa un quinto più che in Germania. Ma appunto vent’anni dopo la Germania è del 30% sopra; anche Spagna o Francia hanno visto rapidi progressi, mentre l’Italia è rimasta sostanzialmente ferma.
Tutto questo ha ricadute per la qualità della vita, perché oggi in Italia ogni anno un occupato in media lavora l’equivalente di oltre due mesi in più di un collega tedesco per produrre poco meno di lui. In Germania, efficiente, i tempi di lavoro dei singoli crollano. In Italia restano alti per compensare le inefficienze di struttura e dimensioni d’impresa, arretratezza tecnologica, qualità di gestione. E non è vero che la politica non può farci nulla. Basta volerlo. Basta, almeno, capire che è questa la vera emergenza nazionale.