L’Italia rischia di totalizzare cinque trimestri di stagnazione economica sul filo della recessione. A confermare i timori sull’andamento del Pil nel secondo trimestre di quest’anno è stato ieri il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, nel corso della presentazione del Rapporto Annuale. Secondo l’Istat la possibilità di contrazione del Pil nel secondo trimestre è «relativamente elevata». Se la stima, che si basa su una probabilità del 65 per cento, sarà confermata la possibilità di una crescita vicina allo zero per quest’anno si fa più concreta. A conti fatti è dal secondo trimestre del 2018 quando la crescita fu zero che l’Italia arranca: nel terzo e nel quarto del 2018 segnammo — 0,1 e nel primo di quest’anno il +0,1 per cento di Pil è stato realizzato solo grazie all’inverno mite e al maggior numero di giorni lavorati nelle costruzioni.
Guardando nel dettaglio gli indicatori che determinano l’andamento generale dell’economia si scorgono altri segnali negativi. Nel 2018, secondo l’Istat, la domanda estera netta ha fornito un contributo marginalmente negativo (per un decimo di punto) alla crescita del prodotto interno lordo, come sintesi di un rallentamento della dinamica delle esportazioni di beni e servizi in volume superiore a quello registrato dalle importazioni.
Inoltre, lo scorso anno, la produzione industriale ha registrato un significativo rallentamento, con flessioni congiunturali in tutti i trimestri. All’inizio del 2019 sono emersi alcuni segnali positivi e nel primo trimestre la produzione industriale ha segnato una variazione congiunturale positiva anche se non sufficiente a ribaltare la tendenza.
Ma non è solo la crescita a preoccupare. Problemi strutturali, come quelli segnalati il 31 maggio scorso dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, si sommano e appesantiscono la situazione. Nel decennio alle nostre spalle, ad esempio, rileva l’Istat, si sono ulteriormente ampliati i divari territoriali. Nel 2018 il recupero dell’occupazione al Centro-Nord, iniziato nel 2013, ha portato al superamento del numero di occupati rispetto al 2008 (384 mila, +2,3 per cento) mentre nel Mezzogiorno il saldo è ancora ampiamente negativo (-260 mila; — 4,0 per cento).
Dati che vengono commentati con preoccupazione da più parti. Per lo Svimez c’è il rischio che il Mezzogiorno entri in recessione già dalla prima metà di quest’anno. La Cgil parla di una «fotografia impietosa del Paese» e di un’Italia «ferma per crescita economica, occupazionale e demografica ». Si aggiunge ai giudizi preoccupati la leader della Cisl Furlan che vede il Paese «sempre più immobile».
Le conclusioni, piuttosto amare, le ha tratte durante la conferenza stampa di ieri il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo. «L’Italia — ha detto — è caratterizzata da una realtà composita, eterogenea, bellissima e contraddittoria. È una terra ricca di tesori, arte e bellezza, ma è anche una nazione ricca di problemi irrisolti, uno per tutti quello del tema ricorrente del debito pubblico».