Ventotto capi di Stato e di governo tenteranno stasera di accordarsi sul prossimo presidente della Commissione Ue. Ne discuteranno a cena, senza consiglieri a fianco e con i telefonini spenti. Giuseppe Conte sarà costretto a cavarsela da solo in mezzo a negoziatori parecchio abili, alcuni dei quali (ad esempio il presidente francese Macron) arriveranno a Bruxelles già in mattinata per stipulare intese; il nostro premier viceversa si presenterà sul tardi. In compenso, la strategia italiana è stata discussa a fondo nel pranzo che puntualmente si tiene al Quirinale prima di ogni summit europeo. Oltre a Conte, al titolare degli Esteri Enzo Moavero e ai pochi ministri di peso, ieri c’erano i vice-premier che (nota di colore) mai si sono rivolti la parola né sono intervenuti nella discussione. Tanto Di Maio quanto Salvini sono rimasti silenti perfino quando Conte e il ministro Tria hanno rassicurato il presidente della Repubblica sulla procedura di infrazione, garantendo che si farà di tutto per evitarla.
Ma il tema vero della colazione al Colle sono state le nomine Ue.L’obiettivo del governo consiste nel portare a casa «un portafoglio economico di prima linea», per usare un’espressione di Conte. In pratica l’Italia aspira a ottenere il commissario alla Concorrenza o, in subordine quello al Commercio. Sono poltrone importanti, in particolare la prima. Ma ce la darebbero gli altri 27? Non è che ci lasceranno soltanto le briciole per punirci della svolta politica sovranista? Nessuno a Roma si fa illusioni. Tuttavia il governo è intenzionato a battersi energicamente, facendo leva sulla nostra stazza geo-politica e sullo status onorifico di paese fondatore dell’Unione. Sarebbe certamente di aiuto se, oltre a battere i pugni sul tavolo, presentasse candidature prestigiose.
Davanti a Sergio Mattarella di nomi non ne sono stati fatti, anche perché quello più ricorrente era proprio lì, seduto a tavola, e sarebbe stato imbarazzante parlarne. Si tratta di Giancarlo Giorgetti, sottosegretario a Palazzo Chigi e numero due della Lega. Una somma di convenienze lo rende la scelta più plausibile. Anzitutto perché, nelle dinamiche di maggioranza, la proposta spetta a Salvini, il quale sotto mano non ha nulla di meglio. I Cinque stelle non obietterebbero, anzi: Giorgetti è la loro bestia nera, per cui pare siano entusiasti di spedirlo a Bruxelles. Lui stesso vorrebbe cambiare aria, forse addirittura mestiere: questa politica non lo appassiona e ancor meno gli piace l’alleanza giallo-verde. Prima però dovrebbe superare l’esame del Parlamento Ue che, specie per i dicasteri dove si richiede competenza, ha la bocciatura facile. Per Giorgetti sarebbe un esame da brividi. Inoltre molto dipenderà dal successore di Juncker che, forse, verrà individuato stasera. Come si regolerà Conte in questo primo round?
Dipende da che fine faranno gli «spitzenkandidaten», ovvero i candidati di punta che sono Manfred Weber per i popolari, Frans Timmermans per i socialisti e Guy Verhofstadt per i liberali. Se si elideranno a vicenda, come è probabile, potrebbe spuntare un moderato in grado di mettere tutti d’accordo nella persona di Michel Barnier, 68 anni, francese, capo dei negoziatori di Brexit. All’Italia come soluzione non dispiacerebbe affatto, sebbene a quel punto i tedeschi reclamerebbero la guida della Bce per il governatore della Bundesbank che è Jens Weidmann. Cioè il gran visir di tutti i rigoristi. La segreta speranza italiana è che contro Weidmann si formi un fronte comune. E se nella battaglia dovessimo perdere il posto nel board Bce, poco male: al momento il governo non saprebbe nemmeno chi piazzare.