La povertà assoluta in Italia si è stabilizzata. Il termine potrà risultare crudo ma indica un’importante inversione di tendenza. Le statistiche dell’Istat rese note ieri e riferite al 2018 ci dicono infatti che sono oltre 1,8 milioni le famiglie in povertà assoluta (7%) per un numero di individui pari a 5 milioni (8,4% del totale). Pur rimanendo ai livelli massimi dal 2005, si arresta così dopo tre anni la crescita del numero e delle famiglie indigenti. Ed è evidentemente una buona cosa. Va detto che il 2018 è l’anno del Rei — misura ad hoc varata dal governo Gentiloni — e quindi tutte le riflessioni causa-effetto vanno limitate a quel provvedimento e non toccano il Reddito di cittadinanza, entrato in funzione nel secondo trimestre 2019. Il Rei, di cui era stata giustamente criticato l’inadeguato monte-risorse (1,7 miliardi), il suo lavoro l’ha fatto contribuendo a stabilizzare i flussi e a ridurre di un punto la profondità della povertà. Ovvero «quanto sono poveri i poveri», come si dice in gergo.
Se dai numeri generali passiamo a un’analisi più approfondita, vale la pena sottolineare un dato: la povertà familiare diminuisce con l’aumentare dell’età della persona di riferimento. Le famiglie giovani (18-34 anni) hanno minori capacità di spesa e minori risparmi e così sono classificate «povere assolute» nel 10,4% dei casi, se invece il capofamiglia ha oltre 64 anni questo indicatore cala drasticamente fino al 4,7%. Grazie evidentemente a buone pensioni e a una vita lavorativa spesa «dentro» un ciclo economico positivo. Interessante è anche sottolineare quali sono, secondo l’Istat, i maggiori focolai di povertà. Il Meridione (9,6% contro 5,3% del Nordest), i giovani, i bambini (quasi 1,3 milioni) e gli stranieri (3 su 10). La fotografia Istat ci dice in sostanza che la povertà è un fenomeno trasversale che ha dei punti di maggiore incidenza — quelli indicati — ma non rimane delimitato a essi. Anzi, ha una presenza significativa anche nelle aree forti del Paese.
Le nuove statistiche con tutta probabilità rilanceranno il dibattito sulla misurazione della povertà. Anche perché, secondo i dati forniti dal governo, la platea dei poveri prevista dal provvedimento di Reddito di cittadinanza è stimata attorno a 3,5 milioni mentre il dato Istat parla di 5 milioni. Come si spiega questa differenza (notevole)? Una prima tesi critica il sistema di rilevazione della povertà assoluta, che avviene tramite l’individuazione di una soglia che si ricava calcolando la spesa minima necessaria per acquistare un paniere di beni e servizi. Ma in questo modo — al di là delle valutazioni sulla composizione del paniere — si misura davvero la povertà assoluta o, come sostengono gli scettici, si è costruito solo un indice di disuguaglianza? La seconda tesi critica invece la platea indicata dal Reddito in quanto troppo selettiva perché per erogare i 780 euro finisce per privilegiare i nuclei di 1-2 persone a danno di quelli più numerosi, perché prevede soglie uguali sia al Sud che al Nord (nonostante il differente costo della vita) e, infine, perché lascia fuori dalla porta gli stranieri. In conclusione si può dire che la vivacità del dibattito attorno ai temi della povertà è un bene — dopo anni di rimozione — anche se spesso non riesce a liberarsi da pregiudizi di carattere politico e logiche di schieramento.