Viviamo tempi incerti. E l’incertezza si diffonde. Pervade la società. Tanto che, ormai, ci stiamo abituando. I gruppi sociali più preoccupati di quel che avviene intorno a loro (e a noi), peraltro, sono i più “periferici”. I più marginali. Sul piano economico e del lavoro. Anche perché oggi faticano a trovare riferimenti a cui affidarsi. Nei quali confidare. Le organizzazioni di rappresentanza, per primi i sindacati, sono in declino. Sotto il profilo della fiducia e delle adesioni. D’altra parte, l’organizzazione del lavoro è cambiata profondamente. E gli “operai” stessi hanno perduto visibilità. Anche se non sono scomparsi, come ha osservato Gad Lerner, su queste pagine, nei giorni scorsi. Tuttavia, non trovano più “rappresentazione”. Soggetti che diano loro voce ed evidenza. Anzitutto, sul piano politico. Perché le basi stesse dell’identità politica si sono indebolite. Per non dire: dissolte. Fra tutte e per tutte, l’asse Destra-Sinistra. Una de-finizione storica. Di lunga durata. Riassunta, da un maestro come Norberto Bobbio, in un testo del 1994 (pubblicato da Donzelli), nel diverso significato attribuito all’eguaglianza. Meglio ancora, alla “dis-eguaglianza”. Considerata, da coloro che si riconoscono nella Sinistra, “il” problema da superare. Mentre a Destra è ritenuta ineliminabile. In una certa misura, perfino necessaria, per favorire efficienza e mobilità sociale.
Tuttavia, negli ultimi anni, questa distinzione sembra aver perduto una parte, almeno, del suo significato. Oggi, infatti, quasi un terzo degli italiani (il 31%) non la — e non vi si — riconosce. Questa tendenza è cresciuta nell’ultimo decennio. A partire dal 2013. Quando ebbero luogo elezioni definite “di svolta”, perché segnarono l’avvio di un ciclo di instabilità ancora irrisolto. Non per caso, allora, si impose il M5s. Un “partito-non partito”. Votato, soprattutto, perché non rispettava e non rispecchiava la tradizionale divisione fra Destra e Sinistra. Proprio allora, come mostrano i sondaggi di Demos, il 27% degli elettori dichiarò di non riconoscersi in questa distinzione. Preferendo collocarsi “fuori”. Una componente molto più ampia rispetto a quanto si era rilevato dalle indagini nel decennio precedente. Nel 2013, la quota di coloro che “scelsero di non scegliere” una posizione politica, fra i 5s, risultava la più elevata: 35%. Ed è salita ulteriormente, in seguito. Fino al 39%, lo scorso maggio.
Nel corso dell’ultimo decennio, peraltro, l’orientamento politico degli italiani ha cambiato “profilo”. Unica costante: la (quasi) scomparsa del Centro. Fino agli anni Novanta e in particolare nel corso della Prima Repubblica, costituiva la “casa comune” di gran parte degli italiani. Oggi ne accoglie meno del 10%. Nel frattempo, le posizioni si sono polarizzate. Fra Sinistra e Destra. O meglio, da Sinistra verso Destra. E oltre. Nel 2013, infatti, il 15% degli elettori si collocava a Sinistra. Il 20% a Centro-Sinistra. Nel complesso, oltre un terzo: il 35%. Mentre il 30% stava nell’altra parte dello spazio politico. Il 13% a Destra, il 17% a Centro-Destra. Oggi la Regione di Centro-Destra presenta, complessivamente, misure pressoché immutate. Mentre lo spazio di Sinistra e di Centro-Sinistra si è “ristretto”. Sensibilmente. In particolar modo il Centro-Sinistra: dal 20% al 16%.
A Destra conta soprattutto la Lega di Salvini. Ieri (e l’altro ieri) interprete della spinta autonomista del Nord. Mentre oggi è divenuta protagonista “nazionale” del sentimento di Destra e di Centro-Destra. Visto che due terzi dei suoi elettori si riconoscono in quest’area. Equamente divisi fra posizioni più o meno moderate. Più o meno radicali. La base elettorale di Forza Italia, invece, continua a occupare principalmente i settori più centrali della Destra.
Nel complesso, l’area dello spazio politico cresciuta maggiormente è quella più “esterna”. Dove confluiscono coloro che si chiamano “fuori”. Cioè: contro la Destra e la Sinistra. Una Non-posizione condivisa, fin dall’inizio, da oltre un terzo degli elettori del M5s. Come si è detto. Ma accolta e riconosciuta, ormai, da quasi un quarto degli elettori della Lega. È il riflesso di un sentimento anti-politico, sempre più diffuso, che contrasta con le stesse categorie della politica. E coinvolge la divisione fra Sinistra e Destra, valutata in modo critico da una componente di elettori sempre più ampia.
Parallelamente, sono cambiate le basi sociali del voto. In particolare, si è scolorito il principale riferimento “sociale” della Sinistra. Gli operai, infatti, guardano altrove. A centro-destra. E a Destra. Oppure fuori. Gli stessi disoccupati preferiscono chiamarsi “fuori”. Mentre il maggiore sostegno elettorale del Centro-sinistra proviene dagli impiegati pubblici e dai pensionati. Così, si spiegano le difficoltà del Pd. L’unico partito “sopravvissuto” a Sinistra. Visto che la lista de La Sinistra, alle recenti Europee, è rimasta sotto al 2%. E non ha, quindi, ottenuto alcun seggio. Il Pd. Riassunto e confluenza dei principali partiti della Prima Repubblica. Post-comunisti e Post-democristiani (di sinistra). Oltre tre elettori su quattro del Pd oggi si dicono di Sinistra (29%) oppure di Centro-Sinistra (47%). Nonostante tutto. Se pensiamo che la formazione dell’Ulivo venne definita da Arturo Parisi, ispiratore di Romano Prodi, il Centrosinistra “senza trattino”, è evidente come si stia assistendo alla fine di “una” storia. Anche se non certo della Storia.
Anche per questo Zingaretti vorrebbe orientare il Pd verso Sinistra- Centro. Senza inseguire il M5s nel territorio dell’Anti-politica e della Non-politica. Tuttavia, gli converrebbe coltivare, anzitutto, il proprio terreno “storico”. Sul piano sociale. Rivolgersi ai perdenti della globalizzazione. Non solo agli ultimi. Ma anche ai penultimi. Quei “ceti medi” che, oggi, sono finiti ai “margini”. Perché alla Sinistra conviene credere ancora a Norberto Bobbio. Per “ritrovare senso” deve “restituire senso” all’eguaglianza. Come valore. E come progetto.