Se (ancora) utilizzate il bancomat per prelevare cartamoneta agli Atm, è molto probabile li abbiate incrociati. Sicuramente, però, non ve ne sarete accorti. È il bello del back office, deve funzionare punto e basta: anche se in realtà, per abilitare un’operazione tutto sommato semplice e usuale come un prelievo di denaro, gli istituti di credito necessitano di tantissima tecnologia. E quindi di software: veloci, senza latenze, soprattutto affidabili.
Nata 27 anni fa dall’idea di quattro nerd ante litteram come software house, oggi Auriga — quartier generale a Bari ma sedi anche a Milano, Roma, Londra, Parigi e Francoforte per un totale di 224 collaboratori — è ciò che si definisce una fintech che aiuta le banche a fare il loro mestiere al tempo della disintermediazione finanziaria. «Compito non certo facile — ragiona il ceo, Vincenzo Fiore — poiché la digital transformation ha impattato duramente sui tradizionali schemi di gestione ed erogazione del credito. Oggi, in Italia, sette Atm su dieci utilizzano i nostri software e i nostri applicativi. Ma il modello operativo sta cambiando e se le banche non vogliono cedere il passo ai big della finanza online, allora devono cercare di tornare sui territori che conoscono offrendo alla clientela anzitutto una proposta consulenziale smart. Noi — prosegue l’imprenditore — in Portogallo stiamo studiando per Millenium bcp un self service assistito per fare banca 24 ore su 20 per 365 giorni su 365 in luoghi non convenzionali, come ad esempio nei centri commerciali. L’idea è quella di uno sportello automatico dove tuttavia si può interagire per operazioni a più alto tasso di complessità non solo con i chat-bot ma anche, da remoto, con un operatore in carne e ossa».
Tutte soluzioni che sembrano dare ragione alla strategia di crescita di Auriga, passata dai 20,6 milioni di fatturato del 2016 ai 21,6 del 2017, per un Ebitda del 19% e un Cagr 2011-2017 del 13%. Aggiunge Fiore: «Non abbiamo ancora approvato l’ultimo bilancio, ma possiamo dire che la crescita continua a essere evidente, poiché abbiamo chiuso il 2018 a circa 24 milioni di euro e questo grazie anche all’espansione dei mercati di riferimento. L’ultimo cliente era messicano: rappresenta un passaggio importante nel processo di internazionalizzazione del nostro brand». L’unico ostacolo alla crescita, per il Ceo di Auriga, è rappresentato dal capitolo risorse umane. «Facciamo davvero fatica a trovare le competenze di cui abbiamo bisogno. Registriamo un mismatch fra domanda e offerta del 30-40%, non solo a Bari, anche a Milano e sulle piazze dove il fintech è nato, come Londra e Francoforte».