Se il premier Giuseppe Conte voleva farsi “ombrello” per salvare il suo governo dalle grandinate in arrivo, quelle evocate da Giancarlo Giorgetti, beh, secondo il sottosegretario alla Presidenza non è che ci sia riuscito più di tanto. «Perché se poi non piove grandine ma pioggia nucleare, radioattiva, hai voglia allora a farti ombrello. Non basta, l’ombrello si scioglie…» Ore 20, il numero due della Lega va avanti e indietro nella grande anticamera del suo studio, al primo piano di Palazzo Chigi, non sta fermo un attimo. Le telecamere nella Sala dei Galeoni, un piano sopra, si sono appena spente. L’incontro coi giornalisti del presidente del Consiglio lo ha visto fino a un certo punto, confessa, poi aveva «impegni istituzionali in agenda». Se lo fa raccontare, legge i resoconti sulle agenzie. E scappa una smorfia. «Flat tax sì, ma inserita in una più ampia riforma fiscale, Tav sì ma non così, farsi valere in Europa sì, ma la procedura d’infrazione ci farebbe male. Ricorda Walter Veltroni? – è la domanda retorica e beffarda del bocconiano ai vertici della Lega – Sì, ma anche, sì, ma anche… Ecco, troppi “ma anche”, temo». Insomma, Conte non è che lo abbia convinto più di tanto. Eppure Giorgetti non ha voglia di emettere sentenze, ritiene di essersi già esposto parecchio nelle ultime settimane. Proprio per questo è stato preso di mira dai 5stelle e dallo stesso presidente del Consiglio (per l’accusa di scarsa imparzialità, soprattutto). Ecco perché, incalzato prima che si richiuda nel suo studio, il sottosegretario alla domanda se si senta alla fine rassicurato dalle garanzie offerte dal capo del governo per andare avanti, glissa: «Sapete come la penso, io ho le mie idee. Chiedete a Matteo Salvini se con queste garanzie si va avanti».
Già, rivolgersi a Salvini. I ministri raccontano che una decisione non è stata ancora presa. Se staccare la spina, quando. Una frenata sarebbe arrivata proprio in queste ore dopo che qualche sondaggio avrebbe registrato addirittura un ulteriore incremento dei consensi nella settimana seguita alle Europee. Oltre il già sorprendente 34,2 per cento del 26 maggio. Elementi che potrebbero spingere in teoria il capo a soprassedere ancora qualche mese, lucrare altri consensi e caricare la manovra “lacrime e sangue” al premier reggente per tirare fino alla primavera. Ma la primavera è troppo lontana.
«Noi non vogliamo far cadere questo governo, vogliamo fare le cose e andare avanti», aveva replicato il segretario leghista mentre Conte stava ancora parlando e lui era nel tunnel dell’ennesima giornata elettorale, trascorsa tra l’inaugurazione della Pedemontana al fianco del governatore Luca Zaia e la sequenza di comizi per i ballottaggi tra Veneto e Lombardia. L’incidente che si verifica da lì a poco fa precipitare rovinosamente la situazione a uno stato da pre-crisi.
Succede che dura un’ora scarsa di vertice sul decreto “sblocca cantieri” convocato dal premier nel suo ufficio, coi capigruppo al Senato di M5S e Lega, Patuanelli e Romeo, il ministro Toninelli, tra gli altri. Il vice all’Economia Garavaglia mette sul tavolo l’emendamento annunciato da Salvini, quello che congela per due anni il codice degli appalti, con il suo bagaglio di regole e vincoli utili anche ad arginare i rischi di infiltrazioni. «Ho il mandato politico di far passare questo emendamento», afferma perentorio Garavaglia. Il presidente del Consiglio ribatte: «Ma questa è una vostra iniziativa, non possiamo farcene carico, parliamone sotto il profilo tecnico, non ci sono le condizioni». Di fronte al muro opposto dai leghisti, però, stronca la discussione: «E allora tutti a casa, non si può andare avanti». A suo dire, se fosse passato l’emendamento, si sarebbe vanificato l’intero decreto sblocca cantieri. A questo punto, per Palazzo Chigi, è evidente che Salvini e i suoi cerchino il «pretesto» per la crisi. E in aula sul decreto ora può succedere di tutto. Conte stamattina sarà a Torino, da lì dovrebbe partire per la missione in Vietnam, sulla quale da ieri notte pendeva un grosso punto interrogativo.
Il segretario della Lega viene informato dell’incidente non appena termina il comizio a Porto Mantovano. E perde le staffe: «Se queste sono le premesse per la ripartenza, allora si riparte col piede sbagliato, anzi si parte malissimo – è il suo sfogo – Noi volevamo solo rilanciare i cantieri, con un ritorno alla normativa europea, non ci stavamo inventando niente. Così non va, non si va avanti ». E poi, non gli venga a parlare di vincoli europei da rispettare, «su quelli i cittadini si sono espressi col voto». Tutto sembra tornato al punto di partenza. «Il problema resta il partito del “no” – conclude Salvini che non riesce a trasformarsi nel partito del “sì”. E se è così, non abbiamo tempo da perdere». L’incidente di ieri sera, visto dal vicepremier, è la conferma che ci sono pochi margini per la ripartenza.