Sapeva già che il premier si sarebbe mostrato «moderatamente ottimista» sulla tenuta del governo, tentando di spegnere le convulsioni post-voto. Ma sapeva anche che «la ripartenza» della quale il suo speranzoso interlocutore gli ha parlato non può dirsi scontata. Per il momento la fiducia si fonda soltanto su uno spiraglio. Almeno fino a quando i due partner della maggioranza (specie Di Maio, che si sottopone oggi al giudizio dei 5 stelle) non avranno fatto un vero vertice tra loro dopo il ribaltamento degli equilibri all’interno dell’esecutivo e preso decisioni definitive.
Insomma: lo spettro di una crisi politica come effetto collaterale delle elezioni europee non è dissolto, per il presidente della Repubblica. Per cui, dopo il colloquio di ieri al Quirinale con Giuseppe Conte, verificherà nei prossimi giorni l’orizzonte che l’inquilino di Palazzo Chigi avrà sul serio davanti. Nella prospettiva che, se ogni intesa franasse magari per un «incidente» al Senato, dove i numeri ballano, non gli resterebbe altra chance che svolgere d’urgenza le consultazioni e, in assenza di una nuova maggioranza, chiudere la legislatura e mandarci alle urne in settembre. In modo di scongiurare con una manovra d’emergenza il default dell’Italia.
C’è poco tempo. La lettera spedita dall’Ue all’esecutivo ha cambiato lo scenario, peggiorandolo molto, per Sergio Mattarella. Impone infatti una risposta rapida e convincente che, per l’aria che ancora adesso tira nei dintorni di Palazzo Chigi, difficilmente potrà accontentare la Commissione Ue. Proprio per questo, nel faccia a faccia con Conte, il capo dello Stato ha caldamente consigliato una frenata generale. La campagna elettorale è se Dio vuole finita e d’ora in poi bisogna che si misurino le parole e i toni. E le pretese.
Dunque, basta proclami, qui come con Bruxelles. Quel che serve — questo il senso della sua raccomandazione — è dare subito segni di condivisa consapevolezza, chiamiamoli così. In primo luogo nella replica (entro domani) alla missiva della Commissione che ci ha messo in mora sul percorso di rientro del debito pubblico. E poi (il 5 giugno) nell’affrontare le raccomandazioni sul Def, nell’ambito del semestre europeo, sull’andamento dei conti. Per inciso: la tenaglia tra deficit e debito, fatto un sommario calcolo che al Quirinale ben conoscono, potrebbe costarci 50 miliardi abbondanti ogni anno. Da oggi fino al 2023, compreso. Uno sforzo mostruoso.
Ecco gli appuntamenti ricordati da Mattarella e su cui i partner dell’Ue si preparano a giudicare il livello di responsabilità dei nostri governanti alla vigilia di un negoziato che si preannuncia assai difficile. Il premier, che non era in grado di impegnarsi già nei dettagli con il presidente, ha condiviso l’allarme. Tanto che, una volta sceso dal Colle, ha chiamato a consulto il ministro Tria. La preoccupazione per lui è pressante anche alla luce della sua ultima trasferta a Bruxelles, dove ha misurato come nell’Ue si stiano ridisegnando i campi di forza e come l’Italia rischi la marginalità. Una fase incertissima, che ha spinto Mattarella a un appello all’unità, parlando a un gruppo di studenti ma rivolgendosi a tutti. «È bene che ci sia confronto, dialettica di idee, posizioni e convinzioni. Ma quel che tiene insieme il Paese è il complesso dei valori indicati dalla Costituzione».