I complicati dossier autonomistici presenteranno il conto ai nuovi equilibri della maggioranza già a partire da oggi. Nuovi equilibri che devono tener conto del primato del Carroccio, certo. Ma, al suo interno, anche della spinta della “Lega Nord” che ha finora dovuto ingoiare più di uno stop. A partire dall’autonomia di Lombardia e Veneto. In discussione torna però subito un tema indigesto a Nord. È il salva-Roma, su cui il leader della Lega Salvini ha portato il governo a un passo dalla caduta un mese fa. Salvini ha chiesto e ottenuto lo stralcio della norma che accolla allo Stato la maxi-obbligazione da 1,4 miliardi (3,6 con gli interessi) oggi in carico al commissario straordinario, insieme allo stop al contributo annuale per gestirla.
Il problema è che il salva-Roma dimezzato aprirebbe (fra tre anni) un buco da 340 milioni nel bilancio del Campidoglio, per la cancellazione dei debiti-crediti fra Roma e il commissario, e caricherebbe sulla Capitale una crisi di liquidità progressiva. Come ha avvertito il commissario in audizione alla Camera, poi, il passaggio del bond a Roma Capitale sarebbe illegittimo, perché si tratta di un prestito con rimborso integrale alla scadenza (bullet) vietato dal 2008 per i Comuni. E in Parlamento, dove i numeri non sono cambiati, c’è sulla carta una maggioranza trasversale, da M5S a Fdi passando per Pd e Forza Italia, pronta a correggere il decreto crescita per tornare al salva-Roma originario. Una soluzione verso la quale ha spinto anche il Mef, e che avrebbe trovato un accordo tecnico anche nel Carroccio. Si capirà presto se il pieno di voti arrivati alla Lega porterà Salvini a dare un via libera più o meno silenzioso a questa soluzione, spostando il faro su altri temi.
In fatto di enti territoriali, il primo è ovviamente quello dell’autonomia a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, su cui il cuore nordista del Carroccio ha sofferto parecchio lo stallo protratto fino a oggi. Le bozze delle intese sono pronte da metà febbraio ma sono zoppe, nel senso che il capitolo finanziario ha più di un problema (l’ultima versione prevede, però, una clausola “salva-conti” che punta a evitare perdite di fondi al Sud) e su Lavoro, Infrastrutture, Salute, Ambiente e Sanità le richieste regionali e le offerte governative continuano a essere lontane. Finora la resistenza M5s ha fermato il problema sulla soglia del Consiglio dei ministri. Ma per una Lega diventata primo partito sarà impossibile aspettare ancora, anche per evitare la spaccatura con pezzi importanti della sua classe dirigente al Nord. Il sorpasso leghista cambia lo scenario anche sulla riforma degli enti locali. Le bozze preparate in questi mesi dal tavolo tecnico-politico al Viminale prevedono il ritorno alle vecchie Province, con l’elezione diretta di presidenti e consiglieri (2.500 persone secondo i vecchi ordinamenti). Ipotesi sconfessata dal leader M5S, Luigi Di Maio, ma ora di nuovo al centro del tavolo.