L’assemblea confindustriale di ieri non resterà negli annali della storia politico-economica d’Italia. E non certo per colpa di Vincenzo Boccia, che alla sua ultima assise da presidente ha presentato un’ottima relazione.
L’incontro non rimarrà memorabile innanzitutto per motivi di calendario: troppo vicino alla data del voto e quindi fuori tempo sia per influenzare l’agenda setting della campagna elettorale sia per poter ragionare con costrutto sugli assetti futuri del quadro politico. È stato quindi un rito di passaggio centrato sull’offerta di dialogo rilanciata da Boccia e che i due big del governo presenti, il premier Giuseppe Conte e il ministro Luigi Di Maio, erano chiamati a recepire ed elaborare. Non è successo niente di ciò, i loro discorsi non hanno scaldato la platea che alla fine li ha congedati con applausi di circostanza e buona educazione. Se per entrambi doveva essere una prova d’esame di cultura industriale diciamo che il giudizio va rimandato a un successivo test. L’unica sorpresa è arrivata dall’autocritica di Di Maio sul 4.0: graziato da Boccia che non gli ha messo in conto il terremoto di competenze generato al Mise il ministro ha restituito la cortesia elogiando il piano Industria 4.0 e implicitamente l’operato del suo predecessore Calenda.
Ma al di là dell’esito delle prove tecniche di diplomazia l’impressione è che stia cominciando per l’industria italiana una stagione tutt’altro che agevole e non solo per la presenza nei luoghi-chiave della politica di interlocutori in fase di apprendistato. Ci sono prove imminenti che chiamano in causa direttamente gli imprenditori italiani e, come direbbe il sommo poeta, «la loro vertude». Prendiamo la trasformazione digitale. Non c’è ancora la consapevolezza diffusa che questa sia la sfida del momento e che il passaggio chiamato 4.0 non possa essere eluso. C’è la necessità di un nuovo ciclo di investimenti che faccia seguito ai 10 miliardi messi in campo grazie proprio agli incentivi del vecchio piano. La verità — e lo sostiene lo stesso Centro Studi Confindustria — è che le imprese hanno ripreso ad accumulare liquidità ma queste risorse non prendono la via degli investimenti a causa delle incertezze che avvolgono sia la politica italiana sia il quadro internazionale. Va detto però a chiare lettere che senza questo passo il vantaggio competitivo, di cui godiamo in molti settori, può ridursi o svanire. Ieri forse non era la giornata giusta per sottolinearlo con forza ma occorrerà farlo.
C’è poi un settore sul quale va concentrata l’attenzione per le sconvolgenti novità che lo riguardano ed è l’automotive. A metà giugno Confindustria ha messo in calendario un appuntamento torinese al quale saranno ancora presenti Conte e Di Maio per discutere «la vertenza auto». Il passaggio all’elettrificazione, la scelta della Ue di essere l’area più virtuosa nella riduzione delle emissioni, le esperienze di nuova mobilità che stanno emergendo richiedono scelte dell’industria e dei governi che vadano nella stessa direzione, magari rinunciando ai voli pindarici e all’autolesionismo. E di sicuro il tempo comincia a stringere. Anche sul tema delle dimensioni di impresa c’è necessità di operare una svolta. La filosofia che richiedeva alle aziende di aggregarsi orizzontalmente non ha funzionato, occorre dunque — come prima mossa — stimolare le grandi imprese capo-filiera a riorganizzare la galassia dei loro fornitori per favorire una selezione intelligente e la nascita di aziende più robuste. Qualche buona pratica in materia c’è già: nel gruppo Leonardo, solo per citare un esempio. Ma il campo è molto più vasto ed è da preferire una scrematura guidata a un inevitabile processo darwiniano.
Infine, visto che quella di ieri era l’ultima assemblea di Boccia e che nei prossimi mesi partirà la competizione per la successione al vertice della Confindustria (esempio virtuoso di ricambio delle élite), non sarebbe male che il dibattito sulla scelta degli uomini e delle donne si accompagnasse a una riflessione sulla rappresentanza. Abbiamo tutti la sensazione che per reagire all’avvento della stagione «del presentismo» — termine usato dallo stesso Boccia per bollare la bulimia di consenso — occorra aggiornare i vecchi riti. La staffetta al vertice è un’occasione da non perdere.