Il sostegno è solo psicologico, un piccolo segnale di ottimismo nel vedere il fatturato industriale tornare a superare i 900 miliardi, fatto che non si verificava dal lontano 2008.
La consolazione termina qui, almeno per il momento, perché passando dai valori correnti (in progresso comunque appena dello 0,4%) a quelli costanti, la crescita stimata per il 2019 è pari a zero. L’ultimo rapporto-analisi dei settori industriali realizzato da Intesa Sanpaolo e Prometeia vede scongiurato il rischio di una caduta delle vendite, come accaduto a fine 2018, rimandando però solo al prossimo anno il ritorno del segno più nei ricavi manifatturieri. Anche se il quadro mondiale pare meno problematico rispetto a qualche mese fa e il punto di minimo del ciclo, soprattutto grazie alla Cina, pare superato, rischi e incertezze continuano a incidere pesantemente sulle scelte delle imprese, con effetti già palesi in termini di compressione della domanda interna.
«Se i consumi al momento tengono – sottolinea il capo economista di Intesa Sanpaolo Gregorio De Felice – la vera sfida oggi è quella di rilanciare gli investimenti, per allargare la base produttiva ma anche per rilanciare la nostra produttività». Accelerare pare in effetti necessario, perché dopo il calo di tre punti stimato per l’anno in corso, anche prendendo per buone le ipotesi contenute nel Def, la crescita composta degli investimenti nei prossimi tre anni sarà appena del 5,3%, «del tutto inadeguata – aggiunge De Felice – a colmare il gap accumulato nel tempo nei confronti della Germania».
«Situazione che per migliorare – aggiunge il partner di Prometeia Alessandra Lanza – deve poter contare su misure pubbliche di sostegno adeguate, mentre quello che abbiamo visto in Italia è il depotenziamento di ciò che era in campo: occorre fare di più». Per arrivare ad una prima schiarita nei numeri occorre attendere il 2020, quando secondo il rapporto i ricavi lieviteranno dello 0,9%, per poi accelerare ancora (+1,5%) nel triennio 2021-2023. Tra gli imprenditori, tuttavia, al momento prevale una grande cautela. «C’è molta preoccupazione e vedo rischi notevolissimi – spiega Fabio Storchi, imprenditore della meccanica e presidente di Unindustria Reggio Emilia – e alla luce della situazione sottoscriverei senz’altro questi numeri fino al 2023. Ma di fronte a questo quadro diventa ancora più urgente per l’Italia attivare una politica industriale decisa a favore delle imprese».
«Nel 2019 il nostro settore chiuderà sui livelli dello scorso anno – aggiunge il presidente di Anfia Paolo Scudieri – ma in generale credo che l’auto potrà tornare a crescere solo quando non gli faremo più del male dal punto di vista normativo: penso alla fortissima stretta sulle emissioni in Europa e all’eco-tassa in Italia». La buona notizia è però legata all’evoluzione delle nostre imprese, che a distanza di 10 anni dalla grande crisi paiono più redditizie, più solide in termini patrimoniali, più internazionalizzate e presenti sui mercati globali. Risultato quest’ultimo ben evidenziato dalla gittata media del nostro export, già più lunga rispetto ai nostri partner europei nel 2008 e ora ulteriormente ampliata: in media le nostre merci arrivano ad una distanza di 3413 chilometri (il top è nella meccanica), quasi 200 in più della Francia, 300 oltre il livello della Germania.
«Nel nostro comparto l’export è cruciale – spiega il presidente di Confindustria Moda Claudio Marenzi – ma ciò che è evidente è la mancanza di reciprocità: i prodotti cinesi qui arrivano con facilità e senza barriere mentre le nostre commesse verso Pechino affrontano non solo dazi ma anche ostacoli non tariffari enormi. Senza arrivare agli estremi di Trump credo che occorra lavorare per cambiare questa situazione». Tra i settori manifatturieri, a scendere sotto zero nel 2019 saranno le aree legate proprio agli investimenti, come auto e meccanica, oppure comparti legati a questi in termini di lavorazioni e componentistica, dunque elettronica e metallurgia. Quadro diverso a partire dal prossimo anno, dove invece sarà il settore delle quattro ruote a guidare i progressi, grazie ad una crescita media annua superiore al 2% fino al 2023. Quello, però, è il futuro.