«Sto qui tutta la notte, se serve…». È quasi mezzanotte quando Salvini sfida Conte e Di Maio e scandisce il suo ultimatum. «Non faccio marcia indietro, sono pronto ad arrivare al voto in Consiglio dei ministri», è l’azzardo del vicepremier leghista, stufo di sentirsi accerchiato e sotto attacco. Durante la pausa di una anomala riunione in tre atti, il «Capitano» del Carroccio si chiude con Conte e Di Maio e prova a stanare i 5 Stelle, in maggioranza al tavolo dell’esecutivo. Quel che Salvini chiede loro, in sostanza, è il coraggio di bocciare il suo decreto sicurezza bis, a costo di far cadere il governo.
Sa di prova di forza, ma finisce con un rinvio «in settimana». Salvini ha accolto i suggerimenti del Quirinale per «migliorare» il provvedimento e si dice certo che sarà approvato. Alle 00.35 il Consiglio dei ministri a tappe forzate si scioglie. Si è litigato e non si è deciso quasi nulla, se non le nomine di Mazzotta al vertice della Ragioneria dello Stato, Zafarana alla Guardia di Finanza e Tridico all’Inps. Ma il cuore dello scontro è sui decreti, sicurezza bis per la Lega e famiglia per il M5S, già spediti per conoscenza al Colle. Pressato dai due vice, Conte si è visto costretto a metterli sul tavolo. Sperava di cavarsela con un esame indolore, ma Salvini ha alzato la voce.
Davanti ai ministri di un governo fuori rotta Conte ammonisce Salvini: «Anche dal Quirinale sono state segnalate criticità sul decreto sicurezza». Il ministro dell’Interno sbotta: «Fammi capire, quali sarebbero le criticità?». Ma poi alza gli occhi al Colle, ammorbidisce i toni e concede «piena disponibilità a concordare modifiche». Un segnale di fumo che Di Maio non si fa sfuggire, pago del fatto che i rilievi del capo dello Stato siano ormai pubblici. I 5 Stelle evitano la conta e si dicono «pronti a lavorare serenamente con la Lega per risolvere le criticità». In cambio, Di Maio vuole il via libera al decreto famiglia: «Questo miliardo non si tocca».
Era iniziata in un clima da resa dei conti. Veleni, sospetti, polemiche. Giorgetti diserta il Cdm (primo atto), inseguito dalle voci sarcastiche dei 5 Stelle: «Prima ci attacca e dice che il governo è in surplace, poi non va in Consiglio dei ministri». Strascichi del brutto risveglio di Conte, che ha letto incredulo Giorgetti su La Stampa. L’uomo che dovrebbe essere il suo braccio destro denuncia che «il governo è fermo da 20 giorni» e fa a pezzi l’immagine super partes del premier: «Non è una persona di garanzia». E mentre il capo del governo rende pubblica la sua ira, Giorgetti avvisa i naviganti: «O si lavora seriamente, oppure tutti a casa».
Di Maio rimprovera alla Lega di aver «perso la testa» perché a corto di argomenti: «Disco rotto, parlano solo di migranti. Non si fischia Papa Francesco in una piazza». Salvini si arrabbia. «Io nel pallone?». Ma poi conferma la fiducia a Conte e scherza: «Posso chiedere l’aiuto di Maria o qualcuno si offende?». C’è poco da ridere, tutti si chiedono cosa accadrà il 27 maggio. Rimpasto o crisi? «Si va avanti, il tema è il come», è il dilemma di Di Maio. Su Twitter, Manlio Di Stefano (M5S) insinua che sui migranti Salvini stia facendo «il paraculo». Alle 16 Conte è in Umbria, Salvini non c’è, Giorgetti nemmeno e tocca a Di Maio presiedere il primo round del Consiglio, con l’autonomia all’ordine del giorno. Pausa, scontro a distanza e, alle otto, ecco Salvini: «Il tempo di cambiarmi camicia e giacca e si va a battagliare in Cdm».