I rischi per la stabilità finanziaria derivanti dall’evoluzione dell’economia globale sono in aumento. «L’indebolimento dell’attività manifatturiera nelle economie avanzate e le tensioni commerciali tra Usa e Cina incidono negativamente sugli scambi internazionali e accrescono l’incertezza sulle prospettive di crescita, soprattutto nelle economie maggiormente dipendenti dalla domanda estera, come la Germania e l’Italia» dice la Banca d’Italia nel bollettino semestrale sulla stabilità finanziaria, tornando a sottolineare il peso del debito pubblico e i rischi dovuti allo spread sui titoli pubblici, che resta elevato, mentre Eurostat segnala un’impennata dell’inflazione media europea, salita dall’1,4% di marzo all’1,7% di aprile.
La crescita italiana è stata già rivista al ribasso, ma «l’alto debito pubblico espone l’economia alle tensioni dei mercati finanziari e riduce la capacità della politica di bilancio di sostenere l’economia in una fase di rallentamento» dice la Banca centrale. Il differenziale di interesse tra titoli pubblici italiani e quelli tedeschi, nota Bankitalia, «è diminuito, ma resta ancora su livelli più elevati rispetto a quelli di aprile 2018. Se i rendimenti sui titoli di Stato rimanessero coerenti con le attuali aspettative dei mercati» si aggiunge, nel 2019 e nel 2020 il costo degli interessi sul debito risulterebbe superiore di 4 miliardi di euro, rispetto a quanto si poteva attendere pochi mesi fa.
Il costo medio dei titoli di Stato all’emissione, nell’ultimo semestre, è rimasto stabile al 2,7%, con la quota in mano agli investitori esteri che è scesa ulteriormente, al 22%. In questo scenario il Tesoro dovrà procedere al rinnovo di 141 miliardi di titoli di Stato in scadenza, da qui alla fine dell’anno, un quantitativo piuttosto elevato (12 miliardi in più rispetto allo stesso periodo del 2018).
L’altro aspetto preoccupante, è che i maggiori tassi sui titoli pubblici si stanno lentamente trasferendo al costo dei finanziamenti concessi dalle banche ai privati. In particolare sui mutui per le famiglie, dove i margini delle banche sui prestiti a tasso fisso sono aumentati di 50 punti base (ma sono rimasti pressoché invariati sui prestiti a tasso variabile). La quota dei mutui a tasso fisso, per giunta, sta diminuendo, ed è scesa dal 66 al 63%. «Qualora il divario di costo tra i finanziamenti a tasso fisso e quelli a tasso variabile continuasse ad ampliarsi, la ricomposizione verso i mutui a tasso variabile potrebbe procedere rapidamente, come accaduto nel 2009, accrescendo l’esposizione delle famiglie ai rischi di futuri rialzi dei rendimenti di mercato» sottolinea Bankitalia.
In compenso prosegue il rafforzamento del sistema bancario, anche se i rischi restano alti per via della congiuntura e la volatilità dei tassi sui titoli pubblici, fattori che limitano «la possibilità di crescita dei ricavi» e che potrebbero «far salire nuovamente il costo del credito». Nel secondo semestre dell’anno scorso è proseguita la pulizia dei bilanci, con la cessione di 35 miliardi di crediti in sofferenza, per un totale di 55 miliardi nel 2018, un risultato superiore di 15 miliardi agli importi programmati. A fine 2018 i crediti deteriorati nei bilanci delle banche, al netto delle rettifiche di valore, ammontavano a 90 miliardi, in calo del 30% sul 2017.