Luigi Di Maio entra a urne aperte in Sicilia nel terreno elettorale del Pd, rilanciando leggi di sinistra come salario minimo e conflitto di interessi, ma appena Graziano Delrio, uno dei big del partito, apre uno spiraglio di dialogo, il capo dei 5Stelle sbarra la porta. Intanto perché M5S vuole fare concorrenza alla sinistra e non allearsi, dunque non può mostrare alcuna voglia di stringere accordi. E poi perché «non vogliamo dare l’impressione di cercare maggioranze alternative o di inciuciare col Pd», spiegano fonti del Movimento. Ma c’è anche un altro motivo: se pure si volesse cercare un asse col Pd, quale sarebbe l’interlocutore, visto che a Delrio si contrappone subito Calenda che chiude i giochi o Zingaretti che frena? Ecco perché Di Maio definisce il Pd «un condominio», come soggetto a più padroni.
Ma così come nel Pd ci sono gli «aperturisti» che cercherebbero una sponda nel M5S (magari non oggi ma domani) nel Movimento c’è un’ala più sensibile al richiamo della sinistra, quella che fa capo al presidente della Camera Fico e quella dei dissidenti. I segnali di presa di distanze dall’alleato leghista si sprecano: basta sentire la senatrice Paola Nugnes, quando plaude ai dubbi della ministra Lezzi sulla riforma delle autonomie e quando rilancia i temi dei diritti, dell’immigrazione, «del pericolo dell’avanzare delle destre sovraniste»; notando che «questi concetti vengono ribaditi dai capi del movimento alla vigilia delle europee».
Insomma, nel mare magnum delle due forze oggi alternative qualcosa si muove sotto la linea di galleggiamento. Il dialogo però ora è impraticabile, pure se unicamente evocato dal capogruppo Pd nella sua intervista a La Stampa entro il perimetro parlamentare. E solo su alcuni dei provvedimenti, come salario minimo e conflitto di interessi, enunciati dal capo politico dei 5stelle. La cui reazione all’apertura di Delrio è secca. «La risposta è semplice: no, grazie. La mia era una proposta all’alleato di governo. Poi se il Pd vuole votare quelle proposte avrà l’occasione di redimersi da quello che non ha fatto negli anni in cui era al governo».
Ecco, a questo punto scoppia la bufera. Lo stesso Delrio richiude subito la porta. E anche chi non escludeva qualche convergenza in Sicilia tra Pd e 5Stelle per i ballottaggi tra due settimane, sente subito l’effetto della doccia gelata. Mentre i renziani sparano a palle incatenate, Zingaretti, dopo essersi confrontato col vicesegretario Andrea Orlando, opta per una linea soft, evitando però di accreditare l’interpretazione delle parole di Delrio come prodromo di una linea aperturista verso M5S. «È il refrain che eccita qualcuno ma che non è mai stato all’ordine del giorno», garantisce. Comunque, «è una tempesta in un bicchier d’acqua». Se l’obiettivo è il sorpasso di M5S alle europee, certo non bisogna lasciargli il monopolio di certi temi, ma non bisogna neanche dare l’impressione di accordarsi con loro: questo il ragionamento. Non a caso Orlando dice, «discutiamo pure le loro proposte, ma non cambia niente. È così scoperto il fatto che si tratta di una strategia pre-elettorale che neanche i bambini ci cascano».