A questo punto non fare nulla non è più possibile. Ieri sera l’Italia ha guadagnato tempo con Standard & Poor’s, che ha sottolineato i suoi dubbi profondi sulla situazione del Paese e ha deciso di tenere sospeso il giudizio ancora per un po’. In campagna elettorale per le europee, con un governo dall’orizzonte imprevedibile, un timido tentativo in corso di uscire dalla recessione, non è il momento di declassare l’Italia a un gradino dal livello «spazzatura».
L’errore che la politica — tutta — non deve commettere è pensare che questo sospiro di sollievo cambi qualcosa. Anche se le agenzie di rating non esistessero, anche se le regole europee di Bilancio non fossero mai state scritte, i dati di fondo non potrebbero cambiare. La dinamica della finanza pubblica in Italia è tale che non fare nulla nei prossimi mesi, appunto, non è più un’opzione plausibile. Di qualche intervento difficile, da qualche parte, qualcuno dovrà pur prendersi la responsabilità.
Pochi giorni fa l’Ufficio parlamentare di bilancio ha mostrato cosa succede se l’inerzia attuale proseguisse: se le forze di governo si comportassero davvero nei prossimi mesi come promettono di fare e se il governo, come sembra probabile, non riuscisse a vendere quasi nulla dei suoi beni. Sarebbe lo scenario senza gli aumenti delle imposte indirette già legiferati per la cifra colossale di 51 miliardi nei prossimi due anni, senza privatizzazioni per 24 miliardi per quest’anno e il prossimo, senza veri tagli di spesa. Viste le preferenze della politica, è tutt’altro che da escludere.
Che succederebbe a quel punto? Per l’Ufficio parlamentare di bilancio il debito pubblico salirebbe a oltre il 135% del Prodotto lordo nel 2022. Persino questa sembra un’ipotesi caritatevole, dato che presuppone pur sempre un po’ di ripresa e tassi d’interesse sotto controllo. Invece l’esperienza mostra che quando l’Italia rifiuta di controllare la finanza pubblica, subito il mercato entra in fibrillazione e l’economia si ferma o affonda. Il rischio di una spirale sul debito è troppo serio per essere escluso.
Si torna dunque al punto di partenza. Il recinto è chiaro. Lo è anche senza la minaccia dei rating, senza le regole europee e la Costituzione italiana che impediscono al Quirinale di firmare una manovra che non dovesse fermare l’attuale slittamento del deficit oltre il 3,5% del reddito nel 2020. Il conto alla rovescia è comunque partito. Non segna il tempo che manca alla prossima crisi finanziaria. Al contrario, segna il tempo per la risposta che la prevenga perché gli italiani non perdonerebbero chi dovesse riportarli nella palude della crisi.
È solo in questo che la situazione italiana, in fondo, ricorda la Brexit. Un governo che crea un fatto compiuto e fa scattare un conto alla rovescia, sperando di trovare strada facendo un modo di disinnescare l’ordigno che lui stesso ha innescato. A Londra è stato attivato l’ingranaggio per il «ritiro» dall’Unione europea entro due anni, senza un’idea condivisa nel Paese di come farlo e soprattutto di come distribuirne i costi. A Roma l’innesco è stato giocare con l’idea dell’euro e delle regole europee fino a far salire gli interessi sul debito, in prospettiva per più di dieci miliardi; è stato anche mettere 40 miliardi di debito in più sui giovani per tornare alle pensioni precoci con «quota 100»; è stato, infine, un reddito di cittadinanza necessario ma congegnato troppo in fretta. Ora il conto alla rovescia riguarda dunque la prossima legge di Bilancio e certi aumenti delle imposte indirette, per far tornare i conti, così pesanti che spezzerebbero la spina dorsale dell’economia. Come per Brexit i politici dunque continueranno a escludere tutti gli scenari possibili, a rifiutare tutti i costi e negare tutte le responsabilità. Fino all’ultimo momento utile. Finché saremo a un minuto dalla mezzanotte, spalle al muro, e loro cercheranno l’ennesima via di fuga nelle elezioni. Difficile pensare che il Quirinale gliele conceda prima che abbiano messo un po’ di ordine là dove sono passati. La prossima legge di Bilancio tocca a chi ha fatto quella scorsa (salvo, naturalmente, crisi peggiori).