Il sistema formativo italiano non è attrezzato per le sfide future: solo il 21% degli adulti partecipa a programmi di aggiornamento professionale. E il livello del sussidio erogato con il Reddito di cittadinanza è troppo elevato rispetto ai salari medi. Sono questi i due giudizi più pepati contenuti nell’annuale Employment Outlook dell’Ocse, pubblicato ieri e dedicato al futuro del lavoro.
Ma veniamo subito alle critiche avanzate al provvedimento-bandiera dei Cinque Stelle. L’Ocse plaude — e rivendica di averlo suggerito in passato — alla novità di un sussidio rivolto alle persone in povertà ma trova i 780 euro squilibrati rispetto ai redditi mediani, specie nel Sud. In più è stato disegnato per favorire i single rispetto alle famiglie mentre avrebbe dovuto essere il contrario. Infine la transizione tra reddito garantito e lavoro non è stata concepita con l’attenzione necessaria al punto che si rischia una sorta di trappola del sussidio, si potrebbe rifiutare il lavoro perché comporta — a differenza dell’assistenza — maggiori costi per trasporti e cura dei bambini.
Il tema centrale del Rapporto alla cui stesura hanno largamente contribuito due economisti italiani, il direttore del dipartimento Stefano Scarpetta e Andrea Garnero, è però quello dell’impatto dell’automazione. L’Ocse critica gli scenari catastrofisti circolati finora in materia di distruzione dei posti di lavoro a causa del combinato disposto tra robot e globalizzazione. «Non sono realistici», sostiene, perché le persone vivono e lavorano più a lungo e i tassi di occupazione sono in crescita. Tuttavia, i lavoratori devono affrontare cambiamenti profondi, con transizioni da un lavoro all’altro e un rischio più elevato di obsolescenza delle competenze. Ergo è decisiva la formazione in quantità e qualità. Il rapporto fornisce una stima specifica per l’Italia: nei lavori ad alta probabilità di automazione i posti a rischio-scomparsa sono il 15,2% (media Ocse 14%), per quelli dove si verificheranno «cambiamenti sostanziali» — ovvero posti salvi ma mansioni molto diverse — la percentuale sale al 35,5 (media Ocse 31,1).
Scacciati gli scenari più foschi l’outlook però mette in guardia: la transizione dal vecchio al nuovo non sarà indolore e il conto da pagare crescerà se i sistemi-Paesi sottovaluteranno le contraddizioni esistenti e non predisporranno policy che accompagnino il cambiamento. Leggendo queste parole e pensando all’Italia non si fa peccato. Anche perché da noi la quota di lavoro temporaneo è più alta della media Ocse ed è cresciuta molto nell’ultimo decennio. Inoltre i sotto occupati sono più che raddoppiati dal 2006 tanto da svettare tra i paesi avanzati. Messo da parte il rischio-scomparsa l’attenzione si sposta però sulla drastica polarizzazione delle mansioni. Con due sottolineature: a) diminuiscono le occupazioni intermedie e non garantiscono più status e sicurezze del passato; b) ai lavoratori ad alta qualificazione non si spalanca più automaticamente l’accesso alla fascia alta di reddito.
Tutte queste considerazioni riportano doverosamente alla centralità della formazione, nostro buco nero. I soldi ci sono ma vengono sprecati e solo il 60% delle imprese italiane con almeno 10 addetti offre formazione continua ai dipendenti (media Ocse 75%). Inoltre vi è un abisso — 38 punti — nell’accesso alla formazione professionale tra lavoratori ad alta e bassa qualifica, con l’unica eccezione del contratto metalmeccanici che prevede formazione per tutti.