La scelta di Salvini di divorziare da Di Maio non sarà provocata dallo scontro sulle questioni giudiziarie ma da ragioni politiche. Il caso Siri non c’entra: il leader della Lega aveva preso la decisione di puntare al voto in ottobre già la scorsa settimana.
Il dado è tratto: c’è la prova e c’è pure un testimone, a cui il vicepremier ha confidato la sua strategia. È stato costretto a farlo Salvini, dato che Fabio Cantarella — rampante assessore leghista al comune di Catania — da mesi si sentiva candidato in pectore alle Europee per il suo partito, e si era messo anche a fare campagna elettorale. Almeno fino a quando il «Capitano» non l’ha informato che in lista avrebbe messo Angelo Attaguile, rimasto senza seggio l’anno scorso dopo aver perso nel collegio di Acireale. «Ma Cantarella non è un escluso eccellente», aveva subito precisato il commissario della Lega in Sicilia, Candiani: «Lui sarà valorizzato». «Sarai il nostro capolista per il Senato», aveva appena detto Salvini all’assessore: «E preparati perché si vota a ottobre».
Così un caso locale ha assunto una valenza nazionale. E in poco tempo una decisione che doveva restare riservata ha attraversato lo Stretto ed è arrivata in Continente. Sarà perché l’Italia è una repubblica fondata sulla Democrazia Cristiana, sarà perché in un’altra vita Attaguile è stato ai vertici del movimento giovanile diccì, martedì scorso in Transatlantico Casini ha dato l’impressione di saperne qualcosa, se è vero che ha invitato un gruppo di deputati del Pd a tenersi pronti: «Salvini vuole votare a ottobre». L’ex presidente della Camera, convinto fino ad allora che «quei due a Palazzo Chigi la poltrona non la molleranno», anticipava ciò che pochi giorni dopo — sotto l’effetto dell’adrenalina per il caso Siri — avrebbero ripetuto autorevoli esponenti del Carroccio.
Si vedrà se Salvini darà seguito alla decisione dopo le Europee, ma è certo che non ha più argomenti da opporre a quanti nella Lega (cioè tutti) lo esortano a staccarsi da Di Maio. È il quadro politico complessivo, non il singolo caso giudiziario ad aver incrinato l’azione di un governo che minaccia di compromettere il disegno del partito. Come non bastasse la manovra economica, su altri dossier le cose se possibile vanno anche peggio. All’ultimo vertice del Carroccio la situazione è stata illustrata al vicepremier. Su Alitalia — gli è stato spiegato — «si sono ritirati tutti e anche Ferrovie, se potesse, si tirerebbe dietro». Con il decreto per i rimborsi ai truffati delle banche «finirà che ci troviamo i risparmiatori sotto casa». Con il decreto sblocca cantieri, «passerà almeno un anno per sbloccarli». Le autonomie regionali, «dovevano partire a febbraio, poi a maggio, ora non si sa quando».
Per evitare di restare sotto le macerie del gabinetto Conte Salvini deve cambiare, «e dopo le Europee cambierà tutto». D’altronde l’equilibrio con Di Maio, il loro gioco delle parti, non può reggere se si sbilanciano i rapporti di forza. Che poi è la conclusione a cui è giunta la Lega dopo aver fatto uno studio del voto europeo proiettato sullo scenario nazionale. Alle Politiche di un anno fa, ottenendo il 32% dei consensi, i grillini arrivarono alla Camera con 227 deputati, 97 dei quali eletti nel maggioritario e quasi tutti al Sud. Se si tornasse al voto e M5S scendesse sotto la soglia del 30%, perderebbe quei seggi. E con un risultato del 25% raccoglierebbe in totale un centinaio di deputati, cioè meno della metà dell’attuale delegazione.
Perciò i dirigenti leghisti — come ha scritto nei giorni scorsi Marco Conti sul Messaggero — hanno detto a Salvini che «se alle Europee noi superassimo il 30% potremmo tentare di correre da soli alle Politiche». Ma bisognerebbe andare alle urne subito, siccome sui territori — specie al Nord — sta montando il malcontento. Il governatore Zaia, che l’anno prossimo avrà le Regionali in Veneto, li sente gli elettori e freme. Nelle orecchie ancora gli ronzano le parole di Finco, che è presidente degli industriali di Padova e Treviso — tra le associazioni più importanti d’Italia — e che in dialetto ha spiegato come la pensa: « Par un barcòn non se còpa l’economia ».
D’altronde Giorgetti, all’ultima riunione era stato chiaro con il segretario: «Per decidere non abbiamo tempo. Questione di settimane non di mesi». L’appello è stato aggiornato nel Carroccio: «Questione di ore e non di giorni». Ecco perché il caso Siri non c’entra nulla con la crisi gialloverde. Ecco perché il ministro dell’Interno ha annunciato all’assessore Cantarella di tenersi pronto per «ottobre». «Il governo durerà quattro mesi», ha detto ieri Salvini. E non era un lapsus.