Sepolte nelle centinaia di pagine del Documento di economia e finanza (Def), Giovanni Tria ha fatto approvare al Consiglio dei ministri le conseguenze di ciò che dice lui, a confronto di ciò che sostengono gli altri. A pagina 104 in basso della prima sezione del Def si valutano le conseguenze di un aumento delle imposte indirette, Iva e accise (o di misure equivalenti) e quelle di quanto promettono i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini: nessun sacrificio, nessun aumento delle tasse. È come se il ministro dell’Economia avesse deciso di puntare un fascio di luce sull’orizzonte, mentre la politica è dominata dalle polemiche di giornata e dalla prospettiva del voto europeo tra un mese.
In quel passaggio del Def, Tria mostra cosa accadrebbe nei due scenari oggi davanti all’Italia: nel primo gli aumenti di imposte su consumi e carburanti (Iva e accise) scattano per 51 miliardi l’anno prossimo e nel 2020, o magari lasciano posto a misure equivalenti; nell’altro le misure vengono disinnescate, dunque il bilancio mantiene gli squilibri accumulati con l’ultima manovra e quelle precedenti.
Nel primo caso («scenario nazionale»), si gettano i presupposti perché il debito pubblico avvii un calo che lo renda sopportabile in vista dell’aumento del numero di anziani nel Paese. Nel secondo scenario — formulato da un gruppo di sherpa finanziari europei, scettici quanto agli impegni italiani sull’Iva — il debito inizia a salire in questo decennio fino a raggiungere 193% del prodotto lordo fra mezzo secolo. In altri termini, nell’ipotesi senza Iva il debito è sfonda il soffitto e diventa insostenibile ben prima di raggiungere quella soglia nel 2070.
Tria sa che oggi quel punto d’arrivo fra mezzo secolo non conta. Per ora non conta neppure la ridda di voci contro l’Iva o sulla «flat tax», un’aliquota piatta al 15% sui redditi delle persone, di cui sempre più spesso parla la Lega. Per le forze politiche conta soprattutto il voto europeo del 26 maggio, la relativa campagna elettorale e la visibilità delle loro promesse. In privato il ministro non esita a riconoscere che, per tutto il prossimo mese, una discussione realistica sulla prossima manovra sarà impossibile. «Se ne può parlare solo dopo le elezioni», osserva con una calma apparente.
Da giugno però le proiezioni nel Def sulle prospettive dell’Italia diventeranno di un’attualità pressante e non solo per Lega e M5S. Nell’ultimo mese il ritardo dei titoli italiani su quelli del Portogallo, il Paese più fragile dell’euro dopo la Grecia, è salito di 22 punti (0,22%). Oggi lo spread fra i buoni a dieci anni di Roma e di Lisbona è più alto di quello rispetto agli analoghi titoli tedeschi solo un anno fa. L’intero sistema europeo ormai attende l’Italia al varco del prossimo Bilancio.
Forse è per questo che Tria rivendica da subito le prerogative della propria amministrazione: «Le misure finanziarie le disegniamo noi al ministero dell’Economia», dice. È un accenno di risposta, con la cura di evitare polemiche, ai continui rilanci di altri ministri e della maggioranza. È anche un modo per cercare di tenere quel fascio di luce sull’orizzonte, non sui duelli verbali della settimana. Il Def vede fino al 2022 solo anni di crescita più debole del già deludente 2018. Quello stesso documento stima che il debito pubblico esploda quasi al 200% del Pil fra 25 anni, se il surplus di Bilancio prima di pagare gli interessi restasse basso come quest’anno. E sempre il Def calcola che la tenuta dei conti è legata all’afflusso ogni anno di almeno 165 mila immigrati per sostenere una nazione in crisi demografica. Persino gli scenari relativamente ottimistici di un calo del debito, anch’essi iscritti nel documento che il governo ha appena approvato, presuppongono eventi che non stanno accadendo: un ritorno dell’immigrazione economica o il rallentare dell’emigrazione dei giovani; e un aumento molto forte del numero di figli per donna, da 1,3 a 1,6. Su questi fattori di gioca in gran parte la tenuta finanziaria dell’Italia — avverte il Def — a partire dall’attuale punto di svolta. Esattamente i problemi dei quali, nel prossimo mese, Tria sa benissimo che nessuno parlerà.