Attenti al Def perché sarà un’operazione verità. È l’avvertimento di Giovanni Tria agli alleati di governo. Una vendetta dopo gli attacchi subiti nei giorni scorsi? Certo gli somiglia. «Dev’essere chiaro che si resta nei parametri prefissati con l’Europa» sta ripetendo il ministro dell’Economia a tutti. «Presenteremo un documento di economia e finanza trasparente». Ovvero non elettorale. Un modo per scansare la «demagogia» tanta cara ai partiti della maggioranza.
In questo modo il risultato non farà piacere né a Salvini né a Di Maio perché confrontando in quel documento il quadro tendenziale e il quadro programmatico la manovra di autunno partirà con grosso handicap. Mettendo insieme una previsione realistica del Pil, il deficit programmato e già scritto nella precedente legge di bilancio e le clausole Iva la prossima Finanziaria nasce con una zavorra di 36 miliardi. Come dire: spazio vicino allo zero per le promesse e la spesa.
Il punto fermo è che il ministero dell’Economia non varerà una manovra correttiva anche se le previsioni sulla crescita si sono rivelate sballate e il deficit anziché al 2,04 è proiettato al 2,3-2,4. Per evitarla si farà ricorso alla tesi della crisi congiunturale che attraversa tutta Europa.
Eppoi l’Unione dopo Brexit e con le elezioni alle porte è diventata un agnellino. Semmai il problema è la fiducia dei mercati. Il futuro a breve preoccupa il ministro. E questa preoccupazione stavolta non vuole tenerla per sé ma metterla nero su bianco nel documento di economia e finanza che sarà presentato il 9 aprile, martedì prossimo. La bufera in cui è finito non aiuta. Ma il titolare del Tesoro vuole assolutamente tenere la barra dritta. «In nessun caso sfonderemo sul deficit». Perché è il debito ad allarmare l’Unione come ha ribadito Jean Claude Juncker nella sua recente visita a Roma. E il debito italiano, ripete in tutte le salse Tria, si affronta con la crescita. Col pacchetto approvato ieri dal consiglio dei ministri (ma con la formula salvo intese), si potrà scrivere nel Def un più 0,3-04 invece del dato attuale di più 0,1 che significa stagnazione vicina alla recessione. Va poi rispettato l’1,8 per cento di deficit concordato con la commissione alla fine dello scorso anno. E con questi numeri, alla fine, occorre trovare 13-14 miliardi per mantenere la stabilità finanziaria. Se a questi soldi si aggiunge la clausola sull’Iva, che vale 23 miliardi, si arriva 36-37 miliardi.
La tentazione di Di Maio e Salvini si intuisce facilmente ed è cominciato un nuovo pressing sul ministro del Tesoro. Nel Def vorrebbero soltanto i dati tendenziali. Senza indicare il risultato finale che rischia di penalizzare le forze politiche, di rubargli un pezzo della campagna elettorale per le Europee. Visto il clima dunque si preannuncia un altro scontro tra l’Economia e il suo ministro e gli alleati di governo.Tria però parte da un paio di punti fermi. Il primo: «Non mi dimetto». Quindi i vicepremier possono tirare la corda quanto vogliono. Il secondo: «Non si gioca con i numeri. Qui qualcuno vorrebbe mandare all’esterno messaggi che non possiamo permetterci. L’importante è rispettare le regole».
Naturalmente il Documento di economia e finanza è soggetto alle novità in corso d’opera. Il dato della crescita può essere, con un po’ di ottimismo, inferiore alla realtà di ottobre quando sarà varata la legge di bilancio. C’è anche la possibilità di un aiutino grazie alla lotta all’evasione per abbassare il “tesoro” necessario a tenere i conti in ordine. È importante perciò che il pacchetto crescita sia varato formalmente prima di martedì in modo da valutarne l’impatto e inserirlo nel Def. È molto difficile che possa valere più dell’0,2-0,3, ma è qualcosa. Comunque i numeri sono numeri e nessuno può sconfessarli. Questa è la direzione lungo la quale si muove Tria. Il Def viene scritto in queste ore nelle peggiori condizioni possibili. Tria è sotto assedio con attacchi personali, accuse ai suoi collaboratori. In una lotta senza esclusione di colpi. Condotta anche con metodi poco ortodossi. Ora si capisce meglio, per esempio, la campagna dei 5 stelle contro la nomina di Claudia Bugno, consigliera del ministro, al Cda di StMicroelectronis. Nomina ritirata sulla quale, non a caso, si è buttato subito Stefano Buffagni, il sottosegretario M5S con delega alle poltrone. Al posto della Bugno Buffagni vuole piazzare Lucia Morselli, modenese, che viene da Telecom e siede già in molti Cda.
Curriculum impeccabile, con un particolare che nel mondo grillino aiuta molto: fa parte dei docenti della Link University, l’ateneo guidato da Enzo Scotti che è il serbatoio privilegiato della nuova classe dirigente pentastellata. Del resto Alberto Bagnai, senatore leghista e guru economico di Salvini, lo disse in tempi non sospetti, a inizio legislatura: «Nel contratto di governo potremmo mettere anche l’incendio di Nerone. Quello che tiene insieme noi e i 5 stelle sono le 200-300 nomine che dobbiamo fare».