Nel rugby il terzo tempo arriva quando le due squadre si ritrovano davanti a una birra dopo la partita. In politica, all’epoca dei populisti, è un po’ meno rilassante. Anche per loro sarebbe il momento di lasciar stare le mischie o i calcioni sferrati a casaccio per guadagnare metri.
Ma mentre i rugbisti nel terzo tempo sanno cambiare approccio e passano alle pacche sulle spalle, ai governanti riesce più difficile.
Il loro primo tempo era stato l’età della protesta, le piazze del Vaffa di Beppe Grillo, le incursioni di Matteo Salvini a Macerata dopo l’omicidio di Pamela Mastropietro per mano di un nigeriano («morte di Stato»). Primo tempo furono anche i cartelli sui bus di Londra, quelli che promettevano soldi alla sanità pubblica se il Paese fosse uscito dall’Unione europea. Primo tempo erano anche gli hangar traboccanti di folla dai quali nel 2016 gridava «America first!» o il giorno del giuramento, quando il nuovo presidente annunciò la nuova linea protezionista: «La carneficina americana finisce qua, finisce adesso».
Questi nuovi politici hanno chiuso il primo tempo in vantaggio, perché avevano capito meglio degli altri la rabbia degli elettori. Poi però è venuto il secondo tempo. Trump ha schiaffato dazi e restrizioni su quasi 400 miliardi di dollari di export cinese verso gli Stati Uniti, ma Pechino ha reagito e l’export americano verso la Repubblica popolare è crollato del 30%. Alla fine nel 2018 il deficit commerciale degli Stati Uniti è risultato il più alto da dieci anni e quello verso la Cina il più vasto di sempre. Ora la spinta alla crescita impressa dai tagli alle tasse in deficit si sta esaurendo e l’America rallenta proprio mentre si avvicina la campagna elettorale per il 2020.
Anche le difficoltà della Brexit alla fine del «secondo tempo» sono sotto gli occhi di tutti. L’obiettivo nel confronto con Bruxelles era – parola dell’ex ministro Boris Johnson – «eat the cake and have it»: conservare il dolce e mangiarlo, avere la botte piena e la moglie ubriaca, la partecipazione al mercato europeo eppure una piena sovranità. Per ora gli inglesi non hanno né l’uno né l’altro. Il parlamento ha detto no all’accordo concluso dal governo, no a una Brexit «dolce», no a una Brexit «dura», no all’unione doganale con l’Europa, no a un altro referendum e no a un rinvio della Brexit. Sa cosa non vuole, ma nient’altro.
Non che in Italia il secondo tempo dei populisti sia finito in modo molto diverso. I nuovi governanti si sono subito messi d’impegno a realizzare le loro promesse: il reddito di cittadinanza o le pensioni a «quota 100». Ma lo hanno fatto sottovalutando la fragilità di un’Italia convalescente, che non può certo permettersi una politica economica fatta con lo spirito di una partita di rugby: spallate, fughe in avanti e un pallone che rimbalza sempre sbilenco. Il risultato sono un caos e un’incertezza che hanno riportato l’Italia in recessione, unico Paese al mondo con Venezuela, Portorico, la Guinea Equatoriale e Nord Corea.
Ora per tutti questi uomini nuovi è il momento del terzo tempo e non sarà una birra fra amici ma (in teoria) il momento di trovare una rotta e velocità di crociera sostenibili. Questi politici devono riprendere in mano i loro Paesi e guidarli oltre la loro prima stagione al potere, se lo sanno fare. Devono indicare una visione e una destinazione che non siano solo il prossimo voto in parlamento o nelle urne. Ma è qui che il terzo tempo non sta andando bene. Improvvisamente, gli innovatori che hanno segnato questi anni con le loro intuizioni sembrano a corto di idee. Trump non trova di meglio che attaccare la Federal Reserve: continua a criticare la banca centrale e ne sta infiltrando al vertice un suo fedelissimo di dubbia reputazione. Quanto alla Brexit, la nebbia è così fitta che il premier conservatore Theresa May ormai cerca un accordo in extremis con i laburisti, contro buona parte del suo stesso partito.
Anche in Italia il terzo tempo non decolla: l’economia scende, il debito sale e il prossimo Documento di economia e finanza si annuncia come un esercizio di fuga dalle responsabilità. Si sa solo che forse sarà cancellata una tassa introdotta appena tre mesi fa, per tornare al regime di incentivi alle imprese che era stato cancellato il 27 dicembre scorso. Non proprio una dimostrazione di avere idee chiare sul da farsi. Ma in fondo i due al potere – M5S e Lega – non litigherebbero tanto fra loro se avessero un progetto su cui concentrarsi, se avessero obiettivi da perseguire per il Paese. In fondo i due bisticciano perché non hanno altro da fare: il loro programma sembra già esaurito con la prima infornata di promesse, anche se non ha dato i risultati previsti. Come per Trump e per i partigiani della Brexit, per quei due non è tardi per progettare un terzo tempo coerente. Ma adesso un tweet o un cartello sul bus non bastano più.