“The time is out of joint, il tempo è uscito dai cardini”. Cita l’Amleto di Shakespeare ma anche il “Bussola, polvere da sparo e arte della stampa” di Bacone («le stesse invenzioni rivendicate per la Cina dal presidente Jinping»), Tocqueville e Pasolini. Ha parole di elogio e ammirazione per i padri fondatori dell’Europa ma riserva una sentenza inappellabile per chi vi è a capo oggi: «una banda di pirla». È un Giulio Tremonti a tutto tondo quello che ieri all’Olimpico ha offerto la sua visione del mondo, passato e presente, «per il futuro è ancora presto» al direttore del Festival Città Impresa Dario Di Vico.
Un’intervista “faticosa”, ha scherzosamente ammesso il giornalista del Corriere della Sera al termine dell’incontro “Territori e globalismo, il nuovo conflitto città-campagna”, durante il quale l’ex ministro dell’economia e delle finanze, oggi presidente dell’Aspen Institute Italia, ha ricostruito le tappe europee, marcandone gli errori, i limiti e quelli che lui definisce «crimini politici». Di quest’ultima categoria fa parte il “caso Grecia”: «Per favorire le banche tedesche e francesi esposte per 200 miliardi è stata distrutta la società greca». Ma è all’Italia che l’Europa, che produce oggi «10 chilometri lineari di regole», ha riservato una lunga serie di prevaricazioni culminate nel 2011, sotto il fuoco incrociato dello spread, in quel «dolce colpo di Stato», che mise fine all’ultimo esecutivo Berlusconi.
«Il primo provvedimento firmato da Mario Monti fu il sostegno al fondo per salvare le banche nella crisi greca». Ciononostante per Tremonti «l’Europa non è finita, ma non può essere fatta dai banchieri; meglio puntare, ad esempio, sulla difesa, visto che i cittadini chiedono sicurezza». La ricetta del professor Tremonti – che strizza l’occhio a quella trumpista specie sui dazi – per sopravvivere alla “seconda globalizzazione” è semplice: «Deregulation, stop alla follia europea di dare soldi che vengono poi redistribuiti ad altri e magari emissione di eurobond, visto che l’euro di carta non l’hanno voluto».
*Il Giornale di Vicenza, 31 marzo 2019