Il porto di Trieste come terminale a Nordest della Via della Seta? Ovvio: è nell’elenco dei progetti che l’Unione europea tratta con la Cina. L’invasione delle merci dall’Estremo Oriente? Forse più che cinesi sono quelle che le aziende italiane mandano a fabbricare in Cina e che tornano indietro. Per tentare di giudicare il discusso progetto della Via della Seta si può innanzitutto partire dallo sgomberare il campo dai facili luoghi comuni. Ha tentato di farlo ieri a Vicenza il Festival Città Impresa. E insomma: più opportunità o rischi? E come la mettiamo con i pericoli d’invasione se non si strappano condizioni di reciprocità? E poi la questione di avere a che fare con uno stato autoritario con la sua proiezione imperiale?
«Non si è mai visto nulla di simile dopo il Piano Marshall alla fine della Seconda guerra mondiale: per questo gli americani si preoccupano. Noi possiamo estrarre un valore incredibile. Lo possiamo fare con un veicolo finanziario per joint venture infrastrutturali sui territori – ha sostenuto l’ambasciatore Vincenzo Petrone, direttore della Fondazione Italia Cina, in risposta alle domande messe sul tavolo da Paolo Possamai, direttore dei quotidiani veneti Gedi -. Grazie alla nostra posizione geografica abbiamo l’opportunità per la prima volta di sovvertire la gerarchia tra i grandi porti del Nord Europa – Anversa, Rotterdam e Amburgo – e quelli del Mediterraneo. Poi sta a noi non farci colonizzare. Ad iniziare dall’Europa, se decide da primo mercato al mondo di elaborare una risposta comune. Che non può essere però di dire all’Italia ‘state fermi che prima o poi decideremo’. O di convocare, di fronte alla visita di Xi Jinping, un direttorio a Parigi, per mostrare dove si decide».
E poi gli sviluppi a Nordest su Trieste. Che giunge agli investimenti cinesi di Ccc dopo aver riaperto la prospettiva storica di essere lo scalo del Centro Europa, con il 90% delle merci in arrivo o destinate all’estero. E i cinesi? «Siamo sorpresi quando ci accusano di muoverci fuori dalle dinamiche europee – dice il presidente dell’Autorità portuale, Zeno D’Agostino –. L’investimento di Ccc nel Trihub è tra quelli che l’Unione europea ha inserito nella lista e proposto ai cinesi al tavolo infrastrutturale sull’interconnessione Europa-Cina – aggiunge D’Agostino -. Noi non facciamo contratti: di fronte all’interesse dei cinesi mettiamo a gara un project financing».
E poi la questione dell’invasione delle merci cinesi: «Cinesi o nostre? Se gli investimenti diretti sono enormi e siamo in deficit sulle importazioni, il rischio, se aprissimo i container, è di trovare non merci cinesi, ma prodotti che nostre aziende mandano a fare in Cina e che tornano indietro. Non metto in discussione le dinamiche della delocalizzazione. Ma non ne facciano una colpa proprio a noi, che stiamo chiedendo ai cinesi di diventare partner in piattaforme logistiche laggiù al servizio del nostro export. Loro sono disposti a dare reciprocità. Saranno grandi e imperialisti; ma il problema siamo noi, che ci sentiamo subalterni e non in grado di dialogare alla pari».
*Corriere del Veneto, 31 marzo 2019