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Oltre alle scelte più visibili, come il blocco della Tav, c’è una miriade di piccole decisioni con cui il governo giallo-verde sta ostacolando la crescita del Paese. Hanno tutte la medesima caratteristica: sono interventi riconducibili a lobby particolarmente abili nell’ottenere dal governo, in cambio del consenso e quindi di voti, sussidi o regole che ostacolano la concorrenza distorcendola a loro favore. Il tutto a scapito dei cittadini che si ritrovano a pagare più tasse per finanziare aiuti ad alcune imprese, o servizi più cari e meno efficienti a causa della minore competizione.
Un esempio è il rinvio, per altri 5 anni, dell’applicazione della direttiva europea che obbliga lo Stato a mettere a gara le concessioni per gli stabilimenti balneari: una misura evidentemente voluta dai gestori che non vogliono rinunciare alla rendita che incassano dal tratto di spiaggia loro assegnato spesso ad un prezzo irrisorio (rispetto ai guadagni), se non addirittura gratuitamente.
Un altro esempio sono le regole che ostacoleranno il servizio di noleggio con conducente (Ncc). Regole di fatto dettate dalla lobby dei tassisti e che il ministro Toninelli ha prontamente recepito. Sono entrate in vigore l’11 febbraio, seppur temporaneamente sospese fino al 29 marzo. Non stiamo parlando di Uber, un servizio già da tempo di fatto proibito in Italia, mentre esiste praticamente in tutte le grandi città del mondo occidentale
Stiamo parlando di quei servizi a medio-lungo raggio usati dai turisti che si fanno accompagnare, ad esempio, da Malpensa in Liguria o in Toscana, oppure dalle persone anziane che se le possono permettere e non se la sentono di prendere un treno. Senza contare quelle grandi aziende che usano questo servizio per consentire ai propri dirigenti di visitare clienti e siti produttivi difficilmente raggiungibili in treno.
Si tratta di un mercato in gran parte diverso da quello dei tassisti, che lavorano per lo più all’ interno delle città. Un mercato che però ai tassisti fa gola e infatti vogliono entrarvi cambiando (a loro favore)le regole,e così costruendo di fatto un monopolio. Basta addentrarsi minimamente nelle nuove regole per capire quanto siano paradossali. La volontà non è di regolamentare, come giusto, un mercato, bensì di favorire alcuni operatori a scapito di altri.
Salvo qualche (complicatissima) eccezione, gli Ncc dovranno rientrare in garage dopo ogni servizio. Quindi se un Ncc registrato a Varese porta una famiglia di turisti americani da Malpensa a Siena e poi, rientrando, avrebbe la possibilità, di accompagnare un altro turista da Siena a Como, non può accettarlo perché da Firenze deve rientrare a Varese. Non solo, gli Ncc devono dichiarare la sera prima tutti i viaggi previsti per il giorno dopo senza possibilità di modificarli. Quindi un cliente non può chiamare un Ncc la mattina per la sera dello stesso giorno se quel veicolo è già uscito dal garage. E se un cliente volesse modificare un tragitto non può farlo: ad esempio se un direttore commerciale volesse visitare un cliente diverso da quello previsto, o un cliente in più, peggio per lui. Un Ncc che modifichi il tragitto sarà soggetto al fermo dell’attività per un minimo di 60 giorni e ad altre sanzioni fino alla perdita della licenza. Infine, e questo e’ veramente straordinario, i comuni potranno regolare l’ingresso nel loro territorio degli Ncc che non vi risiedono, ad esempio con un pedaggio. Si torna al Medioevo, quando i viaggiatori dovevano pagare tributi al Signore locale.
E che dire del Disegno di legge sulla pubblicizzazione dell’acqua (in discussione alla Camera, prima firmataria la deputata Federica Daga, M5S) che propone «una gestione pubblica partecipativa e trasparente dell’acqua» perchè «le privatizzazioni hanno prodotto il disastro? Forse all’onorevole Daga è sfuggito che in Italia le società che gestiscono l’approvvigionamento idrico sono già tutte pubbliche con partecipazioni irrisorie di soggetti privati. E che queste piccole partecipazioni di privati esistono per uno scopo ben preciso: evitare che i bilanci delle aziende idriche siano consolidati nel bilancio dello Stato, e che quindi i loro debiti (circa l’1 per cento del Pil) vadano ad accrescere il debito pubblico. E poi: non si volevano snellire le procedure per realizzare investimenti? Se le aziende idriche diventassero soggetti di diritto pubblico i loro investimenti andrebbero alla velocità alla quale vengono realizzati gli altri investimenti pubblici, cioè più lenti di una lumaca. Senza dimenticare che l’operazione ci costerebbe una decina di miliardi di euro per acquistare le quote oggi detenute da privati (vedi le stime di Cosimo Melella e Carlo Stagnaro sul blog dell Istituto Bruno Leoni).
C’è infine il progetto di impedire l’apertura domenicale di molti negozi: «Prendiamoci il tempo che serve perché è un tema non di poco conto che andrà a impattare sullo stile di vita degli italiani» ha detto Andrea Dara, deputato leghista, relatore in commissione Attività produttive della Camera del disegno di legge sulle chiusure domenicali. Il modo di ragionare dell’onorevole Dara ricorda i paesi dell’Unione Sovietica, dove era il partito comunista a decidere lo stile di vita di sudditi per forza obbedienti. E’ questo l’aspetto più grave della proposta, prima ancora del danno economico che essa produrrebbe.
Tra intendimenti e decisioni già prese, come il rinvio della liberalizzazione del mercato al dettaglio di elettricità e gas e il ritorno dello Stato nel capitale di Alitalia (con i soldi dei contribuenti), questi progetti lasciano chiaramente trasparire la convinzione del governo giallo-verde che la concorrenza danneggi i più deboli e quindi vada frenata. E’ vero il contrario. Senza concorrenza non si proteggono i più deboli: si consente solo che i più forti impongano regole a loro vantaggiose. Il governo giallo-verde non ha scelto di aiutare i più deboli. Ha scelto di consentire che le lobby continuino a dettare regole a loro favore e a scapito della collettività.
*Corriere della Sera, 1 marzo 2019