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Giulio Tremonti, che nel 2001, da ministro dell’Economia, era contrario all’abbattimento dei dazi europei verso l’Asia, sollevando critiche rispetto a una posizione troppo arrendevole dell’Europa, oggi ritiene che un’adesione dell’Italia alla Via della Seta, il Memorandum of understanding che il nostro governo dovrebbe firmare tra un paio di settimane in occasione della visita di Xi Jinping a Roma, potrebbe fare del nostro Paese la porta d’ingresso dell’espansionismo commerciale, e non solo, della Cina in Europa, senza che l’Unione Europea muova un dito. Oltretutto in un contesto a dir poco contraddittorio, che il professore sintetizza con una battuta: «Va a finire che la Tav la chiederanno i cinesi».
Perché?
«Perché se la Via della Seta arriva al porto di Genova, questo non può essere un porto di blocco, ma deve essere di sblocco. E allora se il Memorandum avesse un addendum, questo non potrebbe che riguardare la Torino-Lione. E invece da una parte si apre e dall’altra si chiude. Il tutto mentre l’Unione Europea appare inesistente rispetto a una questione che non è solo commerciale ma geopolitica. Eppure l’articolo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Ue prevede che l’Unione abbia competenza esclusiva sulle politiche commerciali comuni e sui trattati internazionali quando incidono sulle norme comuni».
È questo il caso?
«La Via della Seta è un progetto che risale a metà degli anni Novanta del visionario americano Lindon LaRouche che la vedeva come salvezza dell’umanità. Da allora i piani cinesi si sono articolati lungo varie direttrici. Pechino, a parte le infrastrutture finanziarie, si sta sviluppando lungo le rotte euroasiatica, artica e meridionale. In quest’ultima c’è l’Italia, che significa Sicilia, Trieste, Genova».
Ma non potrebbero esserci anche vantaggi da un incremento dei commerci? Era l’obiettivo quando si decise l’ammissione della Cina nella Wto (World trade organization).
«Al momento dell’ingresso nella Wto furono garantite alla Cina condizioni di favore per due motivi. Perché considerato un Paese che doveva svilupparsi e per agevolarne il cammino verso la democrazia. Il primo obiettivo è stato centrato, il secondo no. In quell’occasione l’Europa si presentò in termini unitari nella trattativa, in coerenza con le sue origini di mercato comune. Ora invece appare inconsistente».
Non così gli Stati Uniti, contrari al Memorandum.
«Perché hanno capito la posta in gioco. A differenza dell’Europa, che c’è dove non dovrebbe, come per esempio sugli impianti elettrici di casa, e non c’è dove dovrebbe. La Cina non viene in Italia per il nostro mercato domestico, ma per quello europeo. E Genova e Trieste sono molto più vicine al cuore dell’Europa del Pireo, già conquistato da Pechino».
*Corriere della Sera, 12 marzo 2019