La sfida quotidiana? Competere con colossi come L’Oréal e Coty. Una battaglia, vinta sui mercati internazionali, che il fondatore di Alfaparf Roberto Franchina e il socio Attilio Brambilla conducono da quasi quarant’anni. Assieme, da Osio Sotto, nella provincia di Bergamo, hanno fatto crescere la loro Alfaparf, diventata il primo gruppo mondiale a capitale tutto italiano nell’estetica professionale (50 mila parrucchieri e saloni di bellezza) per la cura dei capelli e del corpo. Oggi la società conta su 238,5 milioni di ricavi (di cui 210 nei prodotti per capelli tra marchi propri e private label) e un ebitda del 21%, ha cinque stabilimenti tra Italia, Messico, Brasile, Venezuela e Argentina, 1.500 dipendenti (poco meno di 400 in Italia).
Il motore del sistema Alfaparf sono i laboratori di ricerca tra Osio e il Sudamerica: qui 50 persone lavorano all’innovazione e ai prodotti del futuro. Il 60% del fatturato è raccolto in Nord e Sudamerica (il mercato più grande di Alfaparf) e il 40% nel resto del mondo.
Tutto è iniziato nel 1980 quando i Semi di Lino per i capelli e le colorazioni hanno iniziato a catturare l’interesse dei parrucchieri. Oggi il gruppo raccoglie circa 50 milioni di ricavi in Italia. Il resto viene dai mercati internazionali. La strategia? «Il modello distributivo internazionale fa perno sulle filiali, ne abbiamo 25 a livello globale», dice Attilio Brambilla, vicepresidente di Alfaparf, 57 anni, socio con il 20% del gruppo a fianco di Franchina, 72 anni, proprietario dell’80% del capitale. Lo sviluppo ha portato il gruppo acrescere in grandi mercati per la cosmetica come il Sudamerica, dove il più forte è il Brasile. «Sui mercati ci vuole coraggio. Anche quando sembra che tutto vada male, un’impresa deve rilanciare. Per esempio in Venezuela le grandi multinazionali della cosmetica sono scappate. Noi siamo l’unica azienda non locale rimasta nel Paese con uno stabilimento. Il nostro business continua a crescere in volumi. Abbiamo seguito la stessa strada in Argentina. Certo, in questi anni l’azienda ha dovuto fronteggiare il problema dei cambi che hanno inciso sui ricavi in euro», dice Brambilla.
Quello stesso slancio Alfaparf lo ha avuto quando ha comprato dieci anni fa i centri di estetica professionale Dibi, debuttando nel settore. Oggi il reparto skin care vale poco più del 10% dei ricavi ed è concentrato sull’Italia. Ora l’idea è portare questa attività anche all’estero. È uno dei punti chiave della crescita futura, una strategia che Brambilla e Franchina stanno disegnando nel nuovo piano al 2023 che potrebbe rivoluzionare ancora la storia dell’azienda. Lo sguardo è puntato sugli Stati Uniti e su possibili acquisizioni in Italia e all’estero.
«A novembre abbiamo aderito alla piattaforma Elite promossa da Borsa italiana anche per fare conoscere i nostri progetti, spiega Brambilla —. Stiamo valutando diverse opzioni per il futuro tra le quali la quotazione a Piazza Affari o una fase intermedia con l’apertura a investitori istituzionali».
L’Economia 15 marzo 2019