Da dove potrà ripartire la nostra crescita? Non si tratta solo di Pil. Si tratta di rilanciare quello spirito che ci ha reso un grande Paese industriale. Intraprendenza, coraggio, creatività, mobilità sociale. Negli ultimi 20 anni abbiamo registrato l’uscita di scena di alcune grandi nomi del capitalismo industriale italiano. Parallelamente, per fortuna, si è osservato il consolidamento delle medie imprese industriali, che oggi esprimono la parte più dinamica del nostro tessuto imprenditoriale. Aziende che hanno capitalizzato l’esperienza delle filiere, guadagnando posizioni di leadership all’interno di catene del valore globali.
Apertura del capitale, governance e Borsa
In un sistema bancocentrico come quello italiano, in un decennio i crediti alle imprese sono passati da 869,4 miliardi a 678,6, in calo del 22%. Le nuove regole Bce sulle coperture patrimoniali delle banche, il livello elevato di Npl e la congiuntura lasciano presagire un’ulteriore restrizione del credito. In questa prospettiva, l’apertura del capitale ai fondi di private equity, l’introduzione di modelli di governance avanzati con l’inserimento di consiglieri indipendenti e la successiva quotazione in Borsa rappresentano un percorso virtuoso da intraprendere con gradualità e convinzione. Non solo in termini di raccolta di capitali, ma soprattutto per la creazione di una moderna cultura d’impresa e di assetti gestionali industriali con fatturato compreso tra 250 e 500 milioni di euro erano 741 mentre oggi sono 786; quelle con fatturato compreso tra 500 milioni e un miliardo sono passate da 357 alle attuali 391. C’è stata tenuta, ma i numeri sono più o meno gli stessi. Stiamo parlando di oltre un migliaio di aziende da cui dipende largamente il futuro del nostro sistema industriale. Per molte di queste la sfida è superare il miliardo di euro di fatturato che rappresenta la soglia psicologica per avere qualche ambizione sui mercati globali. Molte di loro si trovano ad un bivio «esistenziale»: o crescono oppure, con molta probabilità, saranno acquisite.
Dal nostro osservatorio, gli ingredienti essenziali per la crescita delle medie imprese sono essenzialmente quattro: l’introduzione di figure manageriali; la gestione dell’innovazione; buoni meccanismi di governance, consiglieri indipendenti, apertura del capitale e quotazione in Borsa; processi di crescita dimensionale attraverso M&A.
Dirigenti
Per le medie imprese il vero salto di qualità passa dall’adozione di modelli organizzativi e gestionali evoluti. Per far questo servono figure manageriali preparate e indipendenti, in grado di gestire la complessità accompagnando l’imprenditore/azionista. Il ritardo italiano è evidente, anche considerando la mancanza di grandi aziende. Solo l’1,2% del totale dei dipendenti ha ruoli dirigenziali contro la media europea che si aggira intorno al 5%. In valore assoluto questo si traduce in appena 212 mila dirigenti su circa 17 milioni di dipendenti del settore privato. Il motivo per cui le aziende non assumono molti manager è perché l’imprenditore non si fida, e pensa di poter gestire tutto da solo senza delegare. Spesso si denuncia la mancanza di periti industriali. Poche volte si riconosce la mancanza di figure manageriali a 360 gradi per tutte le principali funzioni aziendali. La bassa produttività dipende anche dalla mancanza di competenze manageriali in molte aziende familiari.
Innovazione
L’Industry 4.0 è stato un volano importante per far ripartire gli investimenti. In molti casi si sono fatti anche investimenti in soluzioni tecnologiche di nuova generazione: Internet of Things, Data Analytics, Artificial Intelligence, Robotic Process Automation e così via. Ora è il momento di mettere ordine tra le diverse iattaforme. Serve un re-engineering di tecnologie e processi per sfruttare tutto il potenziale del digital manufacturing. Per l’Italia questa nuova ondata di innovazione, apre le porte alla personalizzazione di massa, con la possibilità di significative innovazioni di prodotto/servizio in grado di conquistare nuovi mercati. Significa dare la possibilità alle nostre imprese di non competere più sul piano dei costi, ma della qualità e dell’eccellenza del prodotto, sulla fascia alta di mercato. Per farlo le imprese devono sfruttare il dato in modo strategico.
M&A
Le aziende che sono cresciute di più negli ultimi 20 anni hanno tutte utilizzato operazioni di M&A in modo continuativo. Realtà come Amplifon, Biesse, Brembo, Campari, Danieli, Diasorin, Cerved, Coesia, Granarolo, Ima, Interpump, Prysmian, solo per citarne alcune, si sono affermate come leader globali nei rispettivi settori grazie ad acquisizioni. Operazioni che hanno consentito loro di diversificare il portafoglio prodotti, entrare in nuovi mercati, acquisire nuovi brand, rafforzare il know how tecnologico o le catene distributive. L’attività di M&A accelera il salto dimensionale e porta i benefici delle economie di scala e maggiore forza nei confronti degli intermediari finanziari, non solo bancari. Da uno studio Kpmg/Sda Bocconi emerge che le aziende che fanno acquisizioni creano più valore di quelle che crescono solo in modo organico, in particolare hanno un livello di redditività superiore del 50% a chi non fa M&A anche con un livello di indebitamento più contenuto. Sotto il profilo del capitale umano un’analisi Bankitalia del 2011 ha rivelato anche che le aziende più grandi tendono ad assumere più laureati.
L’Economia 15 marzo 2019