Il territorio è anche rivoluzione dello sguardo. Che segna il nostro osservare passando dalle economie alle geografie dello sviluppo. O dalla skyline delle città all’orizzonte delle smart land, dalle smart city delle archistar alle terre alte delle montagne. Riprendendo in forme nuove i dislivelli tra terre alte e terre basse della pianura. Sarà per effetto del cambiamento climatico che alza lo zero termico, ma sempre più il racconto territoriale alza lo sguardo. Il Fondo ambiente italiano (Fai) ha convocato delegati e volontari a una giornata con tema “L’Italia sopra i mille metri”. Sempre a questa altezza il Padiglione Italia alla Biennale curato da Mario Cuccinella ha rappresentato l’Arcipelago Italia delle terre alte con tanto di progetti dell’abitare, del recuperare, del manutenere. Lì dove ci sono i piccoli comuni, nelle “Aree interne” così definite da un programma governativo di attenzione e intervento. C’è tanta letteratura che sempre anticipa la metamorfosi dello sguardo. Dall’antropologo errante Paolo Rumiz (“La leggenda dei monti naviganti”), alla storica Antonella Tarpino (“Spaesati”), sino al successo delle “Otto montagne” di Paolo Cognetti.
Un margine che si fa centro di terre alte e montanari che stavano sullo sfondo della “Montagna incantata” di sanatori per l’aria buona e il mal sottile e vette per una élite in ascesa come borghesia e il suo arrampicare raccontato da Thomas Mann agli inizi del secolo passato. Si fa centro, si fa montagna disincantata, seguendo le economie dei territori che riposizionano le terre dell’osso che diventano polpa. Acqua, aria, boschi, ambiente, agricoltura, paesaggio, bellezza sono parole chiave fondanti la narrazione della green economy e di summit dei potenti interroganti a Davos, a Cop 21 a Parigi e Casablanca e negli eterotopici obiettivi dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. È stato un lungo ciclo di riposizionamento.
Ai tempi del fordismo le terre alte erano le terre dell’abbandono, del “Mondo dei vinti” di Nuto Revelli attratti dalle sirene fordiste della Fiat, della Falck, delle acciaierie di Terni sino all’Italsider di Taranto. Il post-fordismo dell’impresa diffusa ha prodotto la risalita a salmone dell’impresa, la magnifica comunità del Cadore e la Luxottica, Fabriano e la Merloni con distretti da metal/montanari. Il tutto accompagnato dalla turisticizzazione con i distretti della neve e il ciclo delle seconde case con cui nelle terre alte ci siamo mangiati territorio, così come nelle terre basse proliferavano i capannoni.
Oggi del fordismo rimangono le dighe dell’idroelettrico a monte, epopea raccontata in “Resto qui” di Marco Balzano e il dibattito (vedere Regione Lombardia) a chi assegnare l’uso e i proventi della risorsa acqua. Dal post-fordismo risale anche il dibattito sull’evoluzione dei distretti alpini, manifatturieri e turistici.
Questo fine settimana risale a Trento la Green Week delle imprese delle terre basse tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna in metamorfosi nella green economy. Il che fa dei dislivelli di un tempo un sincretico spazio tra città e montagna. Da metro-montagne, definizione del geografo De Matteis, spazio emblematicamente reso visibile dalla candidatura per le Olimpiadi invernali tra la Milano dell’Expo e Cortina passando per la Valtellina. Sincretismo da economia degli eventi che rimanda sia alla qualità dell’aria della “metropoli padana” che all’uragano che ha sradicato i boschi del Cadore. Anche qui il Fai prova a inserirsi con un progetto di rivisitazione con cinque tappe nella smart land tra Milano e Cortina, mettendosi in mezzo a una semplice geografia dei poli dei grandi eventi. Ritrovandosi in mezzo alle contraddizioni del moderno anche nell’Italia di mezzo dalle Marche all’Abruzzo all’Umbria al Lazio, dov’è questione aperta la ricostruzione post-terremoto delle terre alte della “Città appenninica” partendo da Treia, piccolo comune dove ogni anno Symbola ci invita a ragionare di soft economy.
Se guardiamo ancora più a sud, a Riace, troviamo l’esperienza emblematica di incontro riguardante la rivitalizzazione dei paesi abbandonati con nuova cittadinanza dei migranti, recuperando la storia delle terre alte con rifugi e abbazie per viandanti e pellegrini di allora. E mi fermo qua nel raccontare il margine che si fa centro. Se dalle terre alte guardiamo alle terre basse ci appaiono anche le grandi questioni dei trafori che passano sotto le terre alte. Tutte questioni aperte, che ci fanno riflettere sul fatto che anche nell’ipermodernità continua il duello sulla modernità tra il gesuita Naphta e l’illuminista Settembrini raccontato allora da Thomas Mann nei pressi di Davos della “Montagna incantata”.
*Il Sole 24 Ore, 26 febbraio 2019