È la poltrona di amministratore delegato di Fincantieri il nuovo terreno di confronto/scontro tra Lega e Movimento 5 Stelle. I grillini vogliono sostituire Giuseppe Bono e contano sull’influenza che possono esercitare sull’azionista Cdp per portare a casa un’altra casella e affidarla a Paolo Simioni, presidente e direttore generale dell’Atac di Roma. Ma Bono è un manager pubblico di lungo corso, abituato a vender cara la pelle. E così ieri è sceso in difesa addirittura Matteo Salvini con una secca dichiarazione nella quale ha espresso stima per lui («deve continuare il suo lavoro») e si è autoinvitato alla cerimonia di consegna di una nuova nave da crociera prevista per giovedi a Monfalcone.
La Fincantieri fa gola ai partiti di governo perché, sotto la gestione del manager calabrese con un passato da operaio, è diventata un campione europeo e nel corso del 2019 è attesa a due operazioni di rilievo strategico. La prima è il closing della joint venture con i cantieri francesi Stx che avverrà subito dopo il via libera delle autorità di Bruxelles, la seconda riguarda il settore militare e dovrebbe sfociare in un’altra alleanza con la transalpina Naval Group. È vero che Bono ha 75 anni e non ha preparato la successione ma sembra avventuroso affidare la guida del gruppo a un dirigente che non abbia nel curriculum esperienze paragonabili.
La verità è che incombe sul sistema manifatturiero italiano la recessione e i partiti di governo sono più attenti alle nomine pubbliche che alle strategie di merito. Il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, che ha appena varato un’avventurosa ristrutturazione del suo dicastero, ieri si è finalmente recato a Termini Imerese per fare il punto sull’infuocata vertenza Blutec. Se l’è cavata, per ora, promettendo un emendamento al decreto quota 100 per finanziare la Cig per altri sei mesi ma si tratta solo di un palliativo. Va sottolineato, però, come nella stessa giornata Salvini e Di Maio — che preferiscono altri temi — siano stati costretti allo straordinario di un «sabato industriale».
Intanto lo schieramento che si è mobilitato a difesa di Bono appare spettacolare: i governatori di Veneto (Zaia), Friuli Venezia Giulia (Fedriga) e Liguria (Toti), la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, un alto esponente del Pd (Rosato) e si sa che a palazzo Chigi un suo convinto estimatore è Giancarlo Giorgetti. In più l’amministratore di Fincantieri ha ricevuto la solidarietà dei sindacati sia a livello di Rsu sia da parte di Fim e Uilm nazionali.
Davanti a questa levata di scudi Stefano Buffagni, plenipotenziario grillino per le nomine e regista dell’operazione anti-Bono, deve aver pensato che gli convenisse cambiar tattica e ha rilasciato una dichiarazione sibillina, nella quale formalmente elogia il manager, ma ne sottolinea l’età e lo invita a «preparare il futuro» della Fincantieri costruendo assieme «un mix di esperienza e cambiamento». Tradotto vuol dire che i grillini pensano a uno spezzatino di deleghe o comunque a una formula che permetta loro di affiancare Simioni a Bono.
Ma l’amministratore delegato è disposto ad accettare una soluzione di condominio? Sembra di no, Bono non è abituato a cedere prerogative e infatti ieri ha avuto modo di dichiarare che la riconferma dipende certamente dall’azionista ma «anche da me». Più chiaro di così si muore.