Il voto alla Camera sulla decisione di rimandare tutto sulla Tav è stato disertato da 34 deputati della Lega che, per vari motivi, non erano presenti in Aula al momento dello scrutinio (261 favorevoli e 136 contrari) sulla mozione della maggioranza gialloverde che «impegna il governo a ridiscutere integralmente il progetto della linea Torino-Lione, nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia».
Pur di non mettere la faccia sulla mozione D’Uva-Molinari, che le opposizione hanno definito un «vero ossimoro», i ministri, compreso il grillino Danilo Toninelli (Infrastrutture) hanno disertato l’Aula. Nell’emiciclo, vistosi i vuoti tra i leghisti: assenti (perché in missione) anche il capogruppo Riccardo Molinari, che è piemontese e ha firmato la mozione, il viceministro Massimo Garavaglia, i sottosegretari Nicola Molteni ed Edoardo Rixi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. I capi della Lega si sono tenuti alla larga dal voto, lasciando l’onere alle seconde file: «Valuteremo l’opera nel rispetto degli impegni internazionali, la Lega è storicamente favorevole ma in passato non eravamo alleati con il M5S», ha detto il deputato veneto Adolfo Zordan in un intervento di pochi secondi. «No comment», ha detto Matteo Salvini. E non è un mistero che la Lega stia giocando una doppia partita perché non vuole che si blocchino i bandi (da avviare entro 15 giorni) altrimenti l’Italia dirà addio ai fondi Ue e dovrà pagare fior di penali alla Francia.
L’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio (Pd) ha detto che il blocco della Tav è il prezzo che la Lega paga al M5S per il voto che ha stoppato l’autorizzazione a procedere per il processo contro Matteo Salvini sul caso Diciotti. Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia, ha pure lanciato un appello alla Lega («Pensate ai vostri territori») che però è caduto nel vuoto. Mentre il presidente di Api Torino, Corrado Alberto, minaccia «un fermo delle attività produttive».
Sullo sfondo del voto sulla Tav c’è l’orizzonte delle elezioni europee del 26 maggio: un limbo durante il quale tutti i dossier caldi verranno raffreddati. Anche quello sull’autonomia differenziata delle regioni. E il premier Giuseppe Conte ha usato parole che assomigliano a una mezza frenata: «È un passaggio molto significativo che ci occuperà nei prossimi giorni, settimane, mesi. In questa fase, l’esecutivo sta completando un’intensa attività istruttoria…».