La Commissione europea è intervenuta sulla scena della Tav Torino-Lione. Con bastone e carota. Il bastone della cancellazione, tanto per cominciare, di 813 milioni di euro stanziati per i primi tre lotti dei lavori (2.3 miliardi di euro) già approvati, se questi non verranno messi in gara entro marzo. La carota sta nella contemporanea decisione di aumentare fino al 50% del costo il proprio contributo alla realizzazione dell’intero collegamento ferroviario Lione-Torino. Una mossa del cavallo, quest’ultima, che, se il Mit non cambierà le carte in tavola, dovrebbe far superare l’ostacolo della cosiddetta analisi costi benefici, chiudere positivamente questa partita Tav e fa intuire possibili soluzioni anche per la prossima mano, quella sulla Tav Brescia Padova. Con il beneficio in più del maggior contributo europeo anche l’analisi costi benefici condotta dalla commissione Ponti— pur infarcita di costi indebiti e di benefici omessi— non può che concludere per il via libera a quei cantieri. La decisione europea avrebbe potuto (dovuto) – come si era suggerito su queste colonne – essere «pretesa» dall’Italia da tempo, anche come contributo a una spesa per investimenti, in opere di interesse europeo coincidente con quello italiano, finalizzati al rilancio della crescita con interventi sicuramente più robusti ed efficaci di quelli scelti dal governo gialloverde (sostegno alla spesa per consumi tramite reddito di cittadinanza e pensioni da quota 100).
Ma cosa ha motivato la Commissione europea a prendere una decisione «tanto generosa» a favore dell’Italia? Cosa l’ha indotta a spostare risorse su questa parte della rete trans-europea di trasporto,Ten-T, inevitabilmente a scapito degli altri 641 progetti in corso per realizzare la rete in tutta Europa? La risposta deve evitare ogni provincialismo dietrologico. Basta rendersi conto del valore per l’Ue, del preminente comune interesse europeo alla realizzazione della rete Ten-T, quella centrale entro il 2030 e quella complessiva entro il 2050, e della crucialità della tratta italiana dal Frejus a Trieste. Come si ripete a Bruxelles fin dagli anni ‘90, anni nei quali la politica infrastrutturale europea si è organizzata attorno alle reti Ten e si è avviata la lunga marcia, mai interrotta, della loro realizzazione, le reti trans europee sono decisive per «consentire ai cittadini, alle imprese e alle collettività regionali e locali dell’Unione di beneficiare dei vantaggi derivanti dall’instaurazione di uno spazio senza frontiere interne». In gioco vi sono l’allargamento e l’approfondimento del mercato unico interno: il solo oggetto del desiderio che non vede divisi sovranisti e non nella realizzazione del progetto di integrazione europea. Senza Ten-T le merci prodotte a Lisbona non possono competere sui mercati polacchi e quelle prodotte in Slovacchia sui mercati francesi. E quelle venete o emiliano romagnole né in Spagna né in Ungheria. Se poi le nuove Ten-T consentono di introdurre le innovazioni tecnologiche che portano le reti europee all’avanguardia mondiale e favoriscono lo spostamento modale del traffico da strada a ferrovia con grandi benefici ambientali è evidente dove stia il comune interesse europeo che impone la realizzazione delle Ten-T, senza se e senza ma. Un obiettivo tanto strategico da essere stato affidato, nel tempo, a strumenti giuridici sempre più forti nelle sue tre versioni: una decisione del solo Consiglio Europeo nel 1994-6, una co-decisione del Consiglio e del Parlamento Europei nel 2004 e, addirittura un regolamento europeo nel 2013: una fonte giuridica, quest’ultima, che non può essere cambiata neanche dai Parlamenti dei singoli stati membri.
E se non vi è mercato interno senza rete Ten-T, non vi è Ten-T senza Tav.Una Tav definita anche questa in modo sempre più articolato complesso dagli anni ‘90 a oggi: la Lione-Torino e la Torino-Milano-Venezia -Trieste nel 1994-96, che vede aggiungersi la Ronchi sud-Trieste-Divaccia-Lubiana-Budapest nel 2004 per esplodere nel 2013 da Budapest alla frontiera Ucraina, ad est, e nei rami che conducono ad Algeciras, Siviglia, Cartagena , a Valencia, a ovest. Mezza rete europea che, a sud delle Alpi, gira attorno alla Torino-Lione e alla Frejus-Trieste. Progetti ai quali l’Europa non può rinunciare e dai quali l’Italia della pianura padana ha bisogno per rilanciare la sua crescita.
PS. Tetragono alle minacce della Ue il governo legastellato ha concordato ieri una mozione parlamentare che (il rospo lo ingoiano i leghisti con la maggioranza degli italiani) blocca i bandi, e quindi i cantieri, della Torino-Lione. Nello stesso giorno il ministro spagnolo dello Sviluppo José Luis Ábalos ha annunciato la messa a bando di 2.820 milioni di euro di lavori per la realizzazione di tratte del corridoio Ten-T Atlantico. Un anticipo sui 16.872 milioni di lavori che verranno portati a termine entro il 2030 per ristrutturare il collegamento ferroviario che attraversa i confini francese e portoghese della Spagna. Fa «piacere» pensare che parte del cofinanziamento europeo allo sviluppo del reddito e della occupazione della Spagna venga dai fondi ai quali sta graziosamente rinunciando l’Italia.