È il grande cattivo. La causa della rapida accelerazione del riscaldamento climatico nel tardo XIX secolo. Tuttora il carbone rimane una forma molto dispendiosa di energia in termini di CO2 prodotta». Peter Wadhams ha passato la sua vita tra i ghiacci dell’Artico. E li ha visti svanire lentamente. Professore di Fisica oceanica all’università di Cambridge, dagli anni Settanta ha diretto oltre cinquanta spedizioni polari di ricerca e per sei volte ha esplorato in sottomarino il Polo Nord.
Professore, l’Artico ci dà molte informazioni sullo stato del nostro pianeta. Sul nostro passato, presente e anche sul futuro.
«L’Artico si sta riscaldando più velocemente rispetto al resto del pianeta. I cambiamenti che avvengono lì sono più veloci che in altre zone. Ciò vuol dire che possiamo prevedere come si svilupperà il riscaldamento e i cambiamenti che porterà».
In questo momento cosa ci dice?
«Ci sono due grandi cambiamenti in atto. Il primo è la continua diminuzione di ghiaccio marino nell’Artico in tutte le stagioni dell’anno. Il risultato è il rimpiazzo di questa superficie bianca con una superficie scura che è quella del mare aperto. Questo causa un assorbimento maggiore di radiazioni da parte della Terra e la conseguente accelerazione del riscaldamento globale. Il secondo effetto è l’innalzamento del livello delle acque oceaniche».
Quando è iniziato tutto?
«La grande accelerazione del riscaldamento del pianeta è iniziata tra il 1850 e il 1900, il periodo in cui la rivoluzione industriale ha cominciato a svilupparsi, prima ancora che il petrolio diventasse la principale risorsa di energia. A quel tempo quasi tutta l’energia artificiale veniva dal carbone, il riscaldamento, i macchinari a vapore…».
Oggi respiriamo ancora la CO2 prodotta in quel periodo…
«Una volta rilasciata nell’atmosfera la CO2 rimane nell’ambiente centinaia di anni. Una parte resta sotto forma di gas, una parte si dissolve nell’oceano ed è assorbita dal plancton e dai pesci. Ma riemerge quando il plancton muore. Lo stesso vale per piante e alberi: la CO2 viene assorbita quando questi crescono ma quando muoiono e marciscono è rilasciata di nuovo. Quando respiriamo, l’aria contiene CO2 prodotta molto tempo fa. Alcuni gas scompaiono dopo alcuni anni, la CO2 rimane nell’aria. Ecco perché non possiamo aspettarci un clima migliore solo attraverso la riduzione delle emissioni».
La soluzione allora qual è?
«È ovvio che dobbiamo limitare il nostro impatto. Ma è fondamentale trovare il modo di ridurre drasticamente la CO2 attraverso mezzi chimici».
Siamo molto lontani?
«In realtà siamo più lontani dal ridurre le nostre emissioni! Ma non lo siamo dalle soluzioni che potrebbero eliminare la CO2. Ci sono metodi chimici che sono stati testati in alcune aree e hanno funzionato. Il problema è che al momento sono troppo costosi. La grande sfida è riuscire a renderli economicamente applicabili su larga scala».
Per ora possiamo usare solo soluzioni d’emergenza…
«Lo sbiancamento delle nuvole, che avviene iniettando particelle d’acqua attraverso sottilissimi spruzzi, è uno di questi. Permetterebbe di aumentare la superficie bianca del pianeta rallentando il riscaldamento. Ma non risolve il problema a lungo termine né gli effetti collaterali dell’inquinamento. Un esempio? L’acidificazione degli oceani. Una soluzione permanente potrebbe essere aumentare il numero di alberi. Ma l’area che si dovrebbe usare sarebbe troppo grande: la metà della terra usata oggi per l’agricoltura».
Noi invece cosa possiamo fare?
«Ricordarci che l’energia è preziosa e che l’uso che ne facciamo si ripercuote sugli esseri umani. Alcuni scienziati hanno avanzato proposte estreme ma che possono essere considerate inaccettabili. Tipo fare meno figli: ogni persona che viene al mondo vivendo immette nuova CO2 nell’atmosfera».
Secondo i cicli delle ere glaciali, la prossima è prevista tra “soli” 23mila anni: la razza umana sopravviverà abbastanza a lungo?
«Di questo passo non avremo mai la prossima era glaciale. Alcune parti del pianeta, vedi i tropici, diverranno invivibili. Potrebbe esserci una riduzione della popolazione. Ma alle alte latitudini non sarà così. I sei milioni di persone che abitano al nord del circolo polare artico potrebbero ritrovarsi un clima simile a quello dell’Europa oggi».
L’Artico sarà la nostra salvezza.
«Se si pensa a un aumento della temperatura di 5 o 10 gradi, cosa che potrebbe accadere nelle prossime decadi, l’Artico diventerà il nostro rifugio».
Il libro e l’autore
In “Addio ai ghiacci. Rapporto dall’Artico” (Bollati Boringhieri, 274 pagine, 24 euro, traduzione di Maria Pia Casarini) il glaciologo Peter Wadhams (1948), capo del Polar Ocean Physics Group dell’università di Cambridge, raccoglie dati, previsioni e teorie sul futuro del nostro pianeta partendo dalle analisi sullo stato dei ghiacci dell’Artico.
*Robinson, 5 gennaio 2019