Ma l’Italia che Paese è? Sembriamo sempre in bilico tra l’essere un disastro o conservare una grande capacità di recupero. E di conquistare posizioni di leadership assolute, nonostante tutto. Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, di ritorno da Londra dove ha incontrato i principali investitori internazionali per presentare il bilancio della banca, dice una cosa: «Se nel 2019 l’economia italiana sta rallentando è il momento di mettere in campo nuove misure per tornare a crescere nel 2020. Partendo dai nostri punti di forza: l’eccellenza della nostra manifattura, la solidità del risparmio degli italiani. Ed è assolutamente indispensabile affrontare la riduzione del debito pubblico: ci sono attività per circa mille miliardi che per una parte possono essere collocate sul mercato. Mentre per rilanciare la crescita occorre puntare su infrastrutture e costruzioni, avviando tutti i cantieri possibili: porti, ospedali, scuole, strade. Le risorse già stanziate per le opere pubbliche ammontano a 150 miliardi, se anche fossero 50 l’effetto sulla crescita sarebbe notevole. E noi, come banca, faremo la nostra parte…».
Ma voi banche non siete piene di sofferenze, di crediti a rischio?
«I nostri conti sono i più solidi da quando è stata costituita la banca. Nell’ultimo trimestre abbiamo avuto il miglior flusso di crediti da non performing a performing e il più basso stock di crediti deteriorati dal 2009. Dimostrazione che le imprese sono ad un picco positivo. Per analizzare la situazione del Paese cominciamo dai punti di forza, per una volta».
Cominciamo…
«Le imprese che esportano sono tra le migliori a livello globale: siamo tra i primi cinque Paesi al mondo per saldo commerciale. L’Italia è paragonabile alla Corea del Sud. Subito dopo colossi come Stati Uniti e Cina. In più siamo primi come diversificazione di prodotti. Il 50% dell’export è merito di piccole e medie imprese, la linfa della nostra industria».
Nonostante la crisi del 2008 e del 2011…
«Molte aziende hanno saputo reagire bene alla crisi sviluppando capacità innovative, specie in campo tecnologico. Nel 2017 le aziende italiane hanno depositato più brevetti all’European Patent Office di quelle tedesche e francesi. E, negli ultimi anni, hanno aumentato il patrimonio netto del 10% e allungato la vita media del loro debito. Sono meno esposte al rallentamento dell’economia. Anche il sistema bancario si è rafforzato. E Intesa Sanpaolo si colloca ai vertici del settore in Europa».
Lei lo chiama rallentamento, Bankitalia e Istat dicono recessione tecnica…
«Certo, c’è un rallentamento, due trimestri negativi di seguito tecnicamente significano recessione. Stiamo parlando di un arretramento dello 0,2%-0,3%. E le prospettive per il 2019 ovviamente ne risentiranno. Ma le previsioni per il 2020 sono di un miglioramento. Per questo è ora di accelerare i motori della crescita e ridurre il debito pubblico».
Non è che lei è troppo ottimista?
«Oggi l’Italia, in termini relativi, si trova meglio di altri grandi Paesi europei. Come abbiamo detto molte imprese sono riuscite, durante la crisi, a diventare campioni nel loro settore. Ma abbiamo un altro punto di forza: il risparmio degli italiani, tra i piu’ elevati al mondo. Si tratta di 10,5 trilioni, circa 4 sono in depositi e risparmio gestito, il resto è patrimonio immobiliare, che non ha subito bolle speculative. Da qui bisogna partire se si considera che il patrimonio pubblico ha attivi per un valore di 1.000 miliardi che in parte possono essere collocati sul mercato».
Il governo ha previsto privatizzazioni per 18 miliardi.
«È possibile creare fondi immobiliari locali, con un incentivo fiscale simile a quello dei Pir, da far sottoscrivere a famiglie e piccoli risparmiatori, oltre che a Cdp, banche, fondazioni e assicurazioni. Si potrebbe ridurre il debito pubblico in maniera graduale e costante, con risultati importanti».
Basterà per far fronte a un debito record che continua a crescere….
«Spendiamo per interessi circa 60-70 miliardi all’anno. La stessa cifra destinata al sistema scolastico e universitario. Un’assurdità, un elemento patologico. Abbiamo una percentuale di laureati tra le più basse dei Paesi Occidentali. Per questo va ridotto il debito pubblico. Per liberare risorse da investire nell’educazione e nella ricerca. Per aumentare la nostra competitività».
Sul fronte dell’economia mondiale le tensioni Usa-Cina sul commercio fanno paura
«Il commercio mondiale è in rallentamento, a ciò si aggiunge la frenata del settore automobilistico, in particolare in Germania. Sono fattori che incidono sull’attività delle nostre imprese. La fiducia diminuisce e assistiamo a un rinvio dei piani di investimento. Ma si tratta di un fenomeno molto diverso dalla crisi del 2011. Le imprese sono più forti. E devono essere la base del rilancio della nostra economia, per creare nuova occupazione».
Ha ragione Conte allora a dire che sarà un anno bellissimo…
«Se USA e Cina si accordassero la domanda globale potrebbe riprendersi. Gli effetti su un sistema produttivo come il nostro sarebbero positivi. Ma, se teniamo conto dell’interconnessione commerciale delle nostre aziende e a dove collochiamo il nostri titoli pubblici, i legami con il resto d’Europa devono essere rafforzati. Per avere un’Europa più unita, in grado di giocare il suo ruolo nello scacchiere globale».
Intanto lo spread sale.
«Certo l’Italia poteva gestire meglio nei confronti dei mercati le trattative con l’Europa sulla legge di stabilità. Prima abbiamo fatto sapere che puntavamo ad un rapporto deficit/Pil dell’1,6%, poi annunciato che l’obiettivo era il 2,4%, infine chiuso al 2,04%. C’è una regola d’oro da rispettare sempre: quella della credibilità. Se consideriamo che 600 miliardi del nostro debito pubblico sono in mano a investitori internazionali ci rendiamo conto delle ragioni che hanno fatto salire lo spread a valori che incorporano un calo di fiducia. Resto convinto che lo spread coerente con i fondamentali dell’economia italiana è 150».
Ma da dove si deve cominciare per creare di nuovo fiducia?
«Ci sono tre priorità: contrasto a povertà e disuguaglianze, crescita con il rilancio dell’occupazione e riduzione del debito pubblico».
Un banchiere che parla di povertà, non sembra proprio il caso…
«In Italia, con la crisi, la povertà ha subito un forte aumento. Come Intesa Sanpaolo nel 2018 abbiamo assicurato 3,5 milioni di interventi per distribuire pasti, farmaci, posti letto e indumenti. La più grande iniziativa del Paese a sostegno di chi si trova in difficoltà. In Italia ci sono 5 milioni di poveri e una fascia sempre più ampia di lavoratori con redditi molto bassi: è un problema enorme. Un’emergenza che va affrontata. Restituire risorse alle comunità nelle quali operiamo e’ anche l’auspicio di grandi investitori internazionali».
Con il reddito di cittadinanza, come fa il governo?
«Come strumento di sostegno a chi si trova in difficoltà non considero questa misura negativa. Si tratta di vedere come funzionerà. Potrà accelerare la domanda interna quando chi lo riceve inizierà a spenderlo. Ripeto vanno poste ora le basi per rilanciare la ripresa nella seconda metà dell’anno e puntare a una maggiore crescita nel 2020».
Da dove si dovrebbe partire?
«Un volano della crescita è rappresentato dal settore delle costruzioni. Serve un grande progetto che coinvolga diversi operatori, per far ripartire i cantieri fermi e avviarne di nuovi, mettendoci tutte le energie del Paese. Scuole, strade, ospedali. E servono nuove infrastrutture, in particolare al Sud. Pensi ai porti, quale crede che possa essere lo sbocco naturale delle merci in arrivo dalla Cina attraverso la via della Seta? Le risorse già stanziate per le opere pubbliche ammontano a 150 miliardi, se anche fossero 50 l’effetto sulla crescita, grazie anche ai fondi europei, sarebbe notevole. Noi, come banca, faremo la nostra parte».
Il governo parla di una cabina di regia.
«Il codice degli appalti deve essere semplificato. Si può immaginare un ampio progetto di housing sociale per venire incontro alle esigenze di potenziali nuovi lavoratori che non si spostano perché non possono permettersi il costo di un affitto».
Ma questo potrebbe aumentare il debito…
«Il debito è già ora a livelli troppo elevati. Se variamo nuove misure per la crescita e iniziamo a ridurre il debito gradualmente tornerà la fiducia, lo spread potrà nuovamente scendere. Questo Paese non merita di trascorrere un’altra brutta estate».
Ha già perso il suo ottimismo?
«Credo sia bene essere realisti senza sottovalutare un quadro che si fa piu’ complesso. A settembre dovremo affrontare scadenze impegnative. Le clausole di stabilità al 2020 ammontano a 23 miliardi. Iniziamo a prepararci da ora, senza attendere. Si può mettere mano a un piano straordinario per un maggior raccordo tra offerta e domanda di lavoro. Le condizioni per rilanciare l’economia e creare occupazione ci sono. L’Italia grazie ai suoi fondamentali ha tutto quanto serve per ripartire».
Eppure l’economia rallenta….
«Intesa Sanpaolo nel 2018 ha erogato nuovo credito a medio e lungo termine per 50 miliardi. Siamo pronti a mettere a disposizione ulteriori 150 miliardi nei prossimi tre anni. Abbiamo lanciato un fondo d’impatto per 1,2 miliardi, la cui prima iniziativa sarà quella di offrire un prestito senza garanzie agli oltre 1,6 milioni di studenti universitari in Italia. Promuoviamo inoltre un grande piano di formazione per inserire 5.000 giovani nel mondo del lavoro. Per le aziende attive nell’economia circolare è stato creato un fondo da 5 miliardi. Tutto ciò non basta. Serve un progetto più ampio. E in questo il ruolo della Politica è decisivo».