L’attacco, durissimo e corale, scatena l’applauso dell’arena inferocita: «Banca d’Italia e Consob andrebbero azzerati, altro che cambiare una-due persone. Az-ze-ra-ti» sillaba Matteo Salvini. E Luigi Di Maio rincara: «Per Bankitalia serve discontinuità. Se pensiamo a tutto quel che è accaduto in questi anni non possiamo pensare di confermare le stesse persone che sono state fino ad oggi nel direttorio di via Nazionale».
È quel che volevano sentirsi dire i 1.400 ex azionisti di Popolare Vicenza e Veneto Banca arrivati di buon mattino al Centro sportivo Palladio di Vicenza per avere dai vicepremier rassicurazioni sul fatto che il governo non farà marcia indietro davanti alla lettera di Bruxelles, non si farà irretire dai dubbi sulla possibile violazione delle norme sulla concorrenza e tirerà dritto con i risarcimenti promessi. «Tranquilli, delle letterine dell’Europa noi ce ne freghiamo altamente. Entro la prossima settimana scriviamo i decreti» annuncia Di Maio. «Anche se il direttore generale del ministero dell’Economia Alessandro Rivera ha dei dubbi?» chiede sibillino Luigi Ugone, uno dei leader delle associazioni dei risparmiatori: «È contrario? — lo rassicura Salvini —. Mi pare un atteggiamento uguale a quello che aveva il presidente dell’Inps, che ci spiegava che non si poteva smontare la legge Fornero… l’abbiamo smontata lo stesso. Il dirigente pubblico o fa quello che gli dice il governo oppure va a fare un altro mestiere».
Concetto non dissimile da quello ribadito poco dopo a Sky, con riferimento a Luigi Federico Signorini, vicedirettore della Banca d’Italia la cui riconferma, sostenuta dal ministro del Tesoro Giovanni Tria, è stata bocciata dal M5S: «Non conosco Signorini — dice Salvini —. Ma chi da tanti anni doveva vigilare e non l’ha fatto, deve trarre le conseguenze. Non è una questione ad personam: se qualcuno è pagato per vigilare sulle banche e non lo fa, farà qualcosa d’altro nella vita, mi pare chiaro». E cambiare lavoro potrebbe non bastare: «Perché va bene l’indipendenza però a questa si deve accompagnare la responsabilità: se non fai il mestiere per cui sei pagato, paghi civilmente e penalmente fino in fondo». Esattamente come i banchieri al vertice degli istituti durante il crac: «Dateci il tempo di far partire la Commissione d’inchiesta, entro questo mese — promette Di Maio alla platea —. Li convochiamo tutti e li facciamo cantare». A capo della commissione ci sarà il senatore pentastellato Gianluigi Paragone.
Dopo la contestazione subita all’ingresso da Di Maio, che a differenza di Salvini aveva tentato di entrare dalla porta principale («Buffone, a casa, vergogna» gli avevano gridato alcuni risparmiatori, infuriati anche perché rimasti fuori), il finale è tra selfie e applausi. Il leader leghista prende la strada di Hit-Show, la fiera delle armi e della caccia; quello pentastellato di un’azienda di Padova, che diventa la cornice di un nuovo annuncio, stavolta sul Codice degli appalti: «Lo smantelliamo perché sta bloccando i cantieri e gli investimenti. Finisce l’epoca delle valutazioni costi-benefici, si parte con le infrastrutture da fare».