La Luxor di Montichiari, provincia di Brescia, è una delle migliaia di aziende manifatturiere del Nord, soprattutto meccaniche, che sfruttando gli incentivi Industria 4.0 hanno messo in programma robusti piani di investimento. Tubi flessibili, rubinetti, sifoni, raccordi, valvole e collettori: quasi 40 milioni di fatturato, il 60% all’estero. L’imprenditore Fabio Astori, 63 anni, prevede di assumere una decina di lavoratori in più. Per un’azienda familiare che ha un centinaio di dipendenti (il 90% a tempo indeterminato), significa un aumento dell’organico del 10%. «Cerco tecnici che abbiano competenze proprie e qualche esperienza — spiega —. E so già che avrò difficoltà a trovarli, perché questo tipo di figure le aziende o le vanno a cercare nelle scuole e nelle università o addirittura se le contendono tra loro».
Nel triangolo industriale del Nord, tra Milano, Bologna e Treviso, il lavoro c’è, perfino adesso che le lancette della congiuntura segnalano tempo perturbato.
Semmai il rebus che almeno un’impresa su due ha enormi difficoltà a risolvere è quello del reperimento delle figure professionali adeguate alle necessità. Ma il triangolo industriale del Nord non è (tutta) l’Italia, e adesso che i nodi del reddito di cittadinanza stanno per venire al pettine — milioni di posti di lavoro da trovare, da far confluire nei centri per l’impiego e redistribuire — la domanda è: il lavoro c’è? E se c’è, dov’è? Quante sono le imprese che assumono? In quali settori, in quali regioni?
Molte delle risposte dipendono dallo stato della congiuntura, e tutti hanno capito che, per la prima metà dell’anno, l’incertezza condizionerà le scelte di investimento, fino a comprometterle. L’altra, enorme incognita è la capacità dei centri per l’impiego, pur rafforzati, di intercettare le offerte di lavoro sul territorio, gestirle in una banca dati efficiente e incrociarle con la domanda di coloro che avranno ottenuto il reddito di cittadinanza. Ma vediamo qual è, in dettaglio, la situazione del mercato oggi, gennaio 2019, come risulta dalle dichiarazioni di intenti delle imprese raccolte da Unioncamere: le entrate stimate, in gennaio, in tutta Italia, sono circa 441mila; quelle previste per il primo trimestre dell’anno sono oltre 1,1 milioni. Naturalmente, per capire qual è la tendenza, agli ingressi andrebbero sottratte le cessazioni. Ma gli 1,1 milioni di contratti in entrata sono un dato solido, attendibile, così come il numero delle imprese che assumono: oltre 200mila, il 15% del totale. Dato discreto, se confrontato con la debolezza di fine 2018 ma anche con i picchi dell’estate scorsa.
Da qui in avanti cominciano i problemi, perché quasi un terzo (il 31%) delle imprese che assumono dichiara difficoltà nel reperimento delle figure di cui hanno bisogno e la percentuale sale fino al 45% per tecnici, meccanici, montatori e manutentori. La classifica delle posizioni più richieste dal mercato, per la verità, annovera ai primissimi posti anche professioni non particolarmente qualificate: addetti nella ristorazione, addetti alle vendite, personale per i servizi di pulizia. Ma qui scatta la seconda difficoltà: la concentrazione geografica delle offerte. Degli 1,1 milioni di entrate programmate per il primo trimestre, ben oltre la metà (663mila) è nelle regioni del Nord. Solo 258mila posti (in ribasso rispetto ai periodi precedenti), nei tre mesi, sono programmati nelle Regioni del Mezzogiorno e nelle isole (circa 80mila in Campania, 51mila in Puglia e Sicilia, solo spiccioli in Calabria, Basilicata, Molise e Sardegna), cioè dove prevedibilmente si concentrerà il grosso dei titolari di reddito di cittadinanza. I quali peraltro, almeno fino alla seconda offerta, potranno respingere l’ipotesi di un trasferimento in Piemonte (86mila entrate nel trimestre), in Lombardia (258mila), Veneto (122mila) o Emilia (111mila) senza perdere il reddito base.
Dunque, anche a voler azzardare ottimismo sul loro grado di efficienza, i centri si troveranno di fronte a un doppio, rompicapo: vincere l’italica idiosincrasia alla mobilità geografica e incrociare una domanda concentrata sulle posizioni meno qualificate con un’offerta assai più ampia e variegata. Tanto da restare insoddisfatta, come avviene in molte aziende del Nord, che cercano soprattutto figure tecniche (quasi il 19% del totale) e qualificate in attività commerciali e servizi (oltre il 20%).
«Nell’ultimo semestre — dice Paola Lunardon, manager delle risorse umane di Faresin, azienda di Breganze (Vicenza) che produce macchine per l’agricoltura — abbiamo affrontato grosse difficoltà nel trovare figure specializzate come saldatori e ingegneri elettronici. Nonostante l’obiettivo di un contratto a tempo indeterminato». Poi, nelle ultime settimane, un piccolo miracolo: «Improvvisamente è ricominciato l’afflusso di domande da parte di saldatori. Evidentemente alcune aziende, non avendo la possibilità di fare nuove proroghe sui contratti a tempo determinato, e non potendo trasformarli in indeterminati, hanno rinunciato ad alcune tra le professionalità più ricercate». Miracoli del decreto dignità, insomma. «L’impressione è che questo tipo di posizioni su cui le aziende manifatturiere hanno da tempo aperto la caccia non si reperiscano nel mondo dei non occupati», dice Franco Beltrame, capo dell’area Lavoro di Confindustria Vicenza.
Gli industriali bresciani prevedono che in tutta la Lombardia, nei prossimi tre anni, l’offerta di posti per tecnici e operai specializzati arrivi fino a 130mila unità. «Sono convinto — dice Astori di Luxor — che il reddito di cittadinanza non risolverà i problemi del lavoro e dubito molto che le figure che ci servono passino per i centri per l’impiego. Ma vediamo, sono curioso anch’io di vedere come funzioneranno queste novità, se ci aiuteranno a scovare competenze nascoste nelle pieghe del mercato del lavoro».