Una riforma sperimentale per tre anni. Che ne compromette dieci. Quota 100 e affini costeranno agli italiani nel decennio appena partito 48 miliardi e 234 milioni. Ma consentiranno a 2 milioni e mezzo di loro di anticipare in qualche modo la pensione. Senza abolire la legge Fornero, solo derogandola. Il bollino della Ragioneria al decretone ancora non c’è. Il Quirinale aspetta il testo per oggi, così che possa essere firmato dal presidente Mattarella e poi pubblicato in Gazzetta ufficiale domani, entrando in vigore. Il provvedimento, licenziato dal consiglio dei ministri il 17 gennaio, comprende anche le norme sul reddito e la pensione di cittadinanza. Il via libera sembrava poter arrivare, ma in tarda serata i tecnici Cinque Stelle hanno preteso che fosse tolto il concorso del ministero dell’Economia alla nomina dei nuovi vertici di Inps e Inail. Un dettaglio sin qui sfuggito.
A quanto si legge nella relazione tecnica al decreto, solo per quota 100 – l’uscita con almeno 62 anni e 38 di contributi – e la pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi a prescindere dall’età (un anno in meno per le donne) – requisito che viene bloccato anziché crescere a 43 anni e 3 mesi e non più aggiornato alla speranza di vita fino al 2026 – la spesa arriva a 43 miliardi a 360 milioni tra 2019 e 2028. Gli altri 2 miliardi servono a confermare tre opzioni introdotte dai governi Renzi-Gentiloni. La pensione dei lavoratori precoci con 41 anni di contributi (requisito anche qui bloccato fino al 2026). Quella delle donne che hanno compiuto 58 anni – o 59 se autonome – nel 2018 con 35 di contributi, ma ricalcolo contributivo che fa perdere in media il 14% dell’assegno alle dipendenti (circa 1.200 euro al mese di pensione media), il 19% alle statali (1.400 euro) e il 23% alle autonome (800 euro). E infine l’Ape sociale, pensione anticipata a 63 anni con 30 o 36 anni di contributi, tutta coperta dallo Stato e riservata ai lavoratori disoccupati o disagiati. Ape e opzione donna sono rinnovati solo per un anno.
Nel 2019, rivelano le tabelle allegate al decreto, si prevedono 330 mila uscite totali, per una spesa di 4,6 miliardi. Tra quota 100 e pensione anticipata si arriva a 290 mila pensionati in più: 102 mila dal settore privato, 88 mila autonomi e 100 mila statali. I soli “quotisti” sono 270 mila. La spesa viene monitorata mese per mese. Superati gli stanziamenti a bilancio, scattano i tagli ai ministeri o l’aumento delle tasse. Tutti quelli che hanno i requisiti potranno in ogni caso anticipare la pensione.
L’assegno medio con quota 100, calcolano i tecnici del ministero del Lavoro,sarà nel 2019 di 28.300 euro per i privati, 18.400 per gli autonomi, 30.200 per gli statali. I “quotisti” pubblici possono poi contare anche sull’anticipo immediato, anziché aspettare sino a 7 anni, di 30 mila euro della loro liquidazione, il Tfs – su una media di 76 mila euro – ma debbono farne richiesta esplicita, perché verrà erogata dalle banche a un tasso di favore. Gli interessi saranno saldati quando il lavoratore incasserà la parte residua di Tfs, cioè al compimento dell’età di vecchiaia, oggi pari a 67 anni, a cui aggiungere fino a due anni canonici per l’esborso. Ma la spesa sarà totalmente coperta, sostiene il governo, da uno sgravio Irpef pari a 1,5 punti in meno sul Tfs per ogni anno tra la fine del lavoro e l’incasso della liquidazione, applicabile fino a 50 mila euro di Tfs. Il bonus fiscale vale per tutti gli statali, anche non “quotisti”. Ma dal 2020 in poi. Lo sconto pesa per 1,9 miliardi di mancate tasse dal 2021 al 2028 (il primo anno 108 milioni). Un escamotage che evita di alzare il debito pubblico.
Il governo infine calcola in 3.500 all’anno nei tre anni di sperimentazione le persone che riscatteranno i buchi contributivi, laurea compresa (per gli under 45).