La Banca centrale europea e Mario Draghi hanno fiducia nel fatto che l’Eurozona non entri in recessione ma ritengono che i rischi per l’economia si siano «mossi verso il lato negativo». Questa è la novità uscita dalla riunione di politica monetaria del Consiglio dei governatori della Bce di giovedì: se fino al mese scorso i rischi erano «bilanciati», oggi sono aumentati. Due economie, quella tedesca e quella italiana, hanno sfiorato la recessione tecnica di due trimestri successivi di contrazione del Pil o vi sono entrate: per il complesso dell’area della moneta unica, però, si tratta finora di un rallentamento della crescita. (Da Davos il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha detto che le previsioni sull’andamento dell’economia italiana sono state drammatizzate «in modo eccessivo, come ha fatto il Fondo monetario» e che il Paese non ha mai «prodotto crisi globali o europee»).
Durante la conferenza stampa seguita alla riunione, Draghi ha chiarito che i governatori non hanno discusso di nuove misure da adottare ma si sono limitati a fare un’analisi della situazione. Da questa analisi, il cambiamento di linguaggio sui maggiori rischi, dovuti a protezionismo, a «dubbi estesi sul multilateralismo», a mancata chiarezza su come finirà la Brexit, a «sviluppi politici in alcuni Paesi» e «a un set di altri fattori: il rallentamento dell’economia della Cina, il declino degli effetti dello stimolo fiscale negli Stati Uniti, l’andamento dell’industria dell’auto in Germania». Ciò produce un momento di debolezza economica più lungo del previsto, «più lungo del vicino termine», ha sottolineato il presidente della Bce.
Tra i governatori – ha raccontato Draghi – c’è stata unanimità nel riconoscere il rallentamento. Qualche differenza di posizioni c’è invece stata sulla sua durata: i più positivi hanno sostenuto che i problemi di Cina, Regno Unito e quelli delle guerre commerciali saranno risolti; altri hanno sottolineato che gli elementi negativi sono presenti da diversi trimestri e persisteranno a lungo.
All’interno dell’Eurozona – ha poi ricordato Draghi – esistono differenze tra Paesi. Ad esempio, la leggera riduzione della domanda di credito che si prevede nei prossimi mesi è «concentrata in Italia, non è diffusa». Lo stesso vale per il mercato del lavoro: ci sono Paesi a piena occupazione, dove i salari crescono «significativamente», come in Germania; in altri la «disoccupazione rimane alta». È una situazione «eterogenea». Un’eterogeneità che potrebbe riverberare anche in futuro, se la Bce decidesse che c’è bisogno di nuove misure per sostenere ripresa e inflazione. Ad esempio, la possibilità di lanciare una nuova fase di Tltro (finanziamenti altamente favorevoli alle banche) – della quale i governatori non hanno discusso – ha sollevato critiche da economisti che la riterrebbero finalizzata solo a sostenere Paesi in difficoltà finanziarie (come l’Italia). Su questo, il presidente della Bce ha detto di essere d’accordo con la critica: il Tltro si può fare solo se è una misura «di politica monetaria» per l’intera area, «non una misura basata su un Paese o un settore».
Inoltre, il presidente della Bce ha ribadito che la politica odierna della Bcecontinua ad assicurare uno stimolo all’economia e che la fine del programma di acquisto di titoli sui mercati (lo scorso dicembre) non ha fatto aumentare i tassi sui titoli di Stato: «Gli spread sono altra questione, dipendono da specificità settoriali o di Paese».
Sulle riforme dell’architettura dell’Eurozona, che «hanno rallentato significativamente» negli ultimi tempi, Draghi ha sostenuto che hanno bisogno «dell’appoggio della gente: dobbiamo essere umili, il timing è interamente una decisione politica». Infine, quando gli è stato chiesto se la vicina scadenza del suo mandato (il prossimo 31 ottobre) abbia provocato tra i governatori un desiderio di accelerazione nella scelta del suo successore, Draghi ha risposto di essere «un po’ partigiano» sull’argomento: «Può darsi che a loro io piaccia».