Forse è solo una coincidenza che i capi del governo di Germania e Italia si succedano nel giro di due ore sullo stesso palco di Davos. Fa parte della fisiologia del World Economic Forum, un evento fondato su una fitta rete di inconfessabili gerarchie, anche che l’accoglienza riservata a Angela Merkel e Giuseppe Conte non sia uguale. Per la cancelliera tedesca capillari controlli di sicurezza all’ingresso della vastissima sala del Centro Congressi, riempita quasi al completo. Per il premier italiano l’organizzazione invece lascia a riposo il servizio d’ordine e la sala, verso fine pomeriggio, resta vuota per tre quarti.
Non è strano, per le leggi non scritte di Davos che distribuiscono la deferenza con studiata avarizia. Anche il brasiliano Jair Bolsonaro, il leader di una grande economia emergente, aveva avuto il giorno prima lo stesso trattamento di Merkel. E neanche Pedro Sánchez, pure premier di una Spagna in crescita rapida da anni, viene considerato abbastanza rilevante da meritare un’accoglienza diversa da Conte.
Ma in una Davos segnata da un’evidente ossessione dei delegati americani per l’ascesa tecnologica della Cina, l’arrivo di Merkel se non altro riaccende i riflettori sull’Europa. La cancelliera è nella forma smagliante di chi ormai viaggia leggero, essendosi già aperta un cammino sicuro verso l’uscita. È qui per l’undicesimo anno e stavolta vuole lanciare un’apologia appassionata dell’ordine internazionale basato su istituzioni comuni e compromessi, contro chi afferma — dice lei — «prima i miei interessi». Ammette Merkel: «Il multilateralismo non è facile neanche per noi tedeschi, ma guardiamo l’alternativa. In molti Paesi abbiamo sfide populiste e nazionaliste e dobbiamo rivoltarci contro di esse. Se non altro, le linee del fronte saranno più chiare». Su questo punto dall’incontro di Aquisgrana martedì con Emmanuel Macron sembra essere emersa un’intesa, fra leader indeboliti ma sempre alleati: con il presidente francese, Merkel concorda che le prossime elezioni europee a maggio sono una finale fra populisti radicali e europeisti moderati. Lo stesso concetto, qui a Davos, traspare dalle parole del commissario Ue francese Pierre Moscovici: «Le europee saranno decisive, le più importanti e più rischiose di sempre».
Merkel in verità a Davos non chiama in causa nessuno. Non evoca l’America di Donald Trump, non cita il Brasile di Bolsonaro. Non parla mai del governo sovranista di Matteo Salvini o dei Cinque Stelle e con Conte prenderà un rapido caffè fra grandi sorrisi. Ma un preciso messaggio all’Italia traspare quando sul palco Klaus Schwab, il patron di Davos, porge alla cancelliera una domanda chiaramente preparata: «L’Unione europea ha bisogno di un approccio a diverse velocità?». È l’idea tedesca, che risale almeno al 1994, di un nucleo di Paesi forti che vanno avanti da soli nel progetto europeo, mentre chi non può o non vuole resta ai margini. Appena ventiquattr’ore prima Merkel ha sospeso la collaborazione nelle operazioni Sophia di salvataggio in mare in polemica con l’Italia e ha lanciato i piani comuni con Macron nella difesa. Ora da Davos mette in chiaro: «In politica estera nell’Unione europea non abbiamo ancora un approccio coerente, perché andiamo avanti solo all’unanimità. Ci è difficile avere una politica comune sulla Russia, sugli Stati Uniti o anche sulla Cina» afferma Merkel, forse con un riferimento obliquo alle esplicite simpatie di Salvini verso Mosca. «Ma se vogliamo essere presi sul serio abbiamo bisogno di strumenti più flessibili — continua —. Io propongo un consiglio di sicurezza europeo, dove meno Paesi possano decidere cosa fare in certe situazioni politiche, senza passare da processi lunghi e faticosi».
È proprio l’idea tedesca del nucleo duro che ritorna. Ed è (anche) un avvertimento all’Italia, il terzo grande Paese fondatore dell’Unione europea, che proprio sulla politica estera in Africa ha appena acceso un’improvvisa polemica con la Francia proprio mentre i porti restano chiusi e centinaia di migranti muoiono in mare. Il segnale fra le righe di Merkel è che l’Italia in Europa rischia di restare senza alleati e gli amici di ieri non rimarranno fermi a lasciarsi accusare per qualunque contraddizione interna da coprire a Roma: Germania, Francia e altri andranno avanti da soli con politiche comuni, dove possibile. Lo stesso Conte deve aver avvertito il rischio di isolamento dell’Italia, perché poco dopo ha detto dallo stesso palco: «Le nostre battaglie sarebbero più facili se non fossimo soli lungo questo percorso».