Un aspetto sul quale l’attuale governo sembra in continuità con molti dei precedenti riguarda il suo ruolo nell’area euro: è così impegnato a strappare concessioni – di solito, per fare un po’ più di deficit – che investe in questo gran parte del proprio capitale politico. Alla fine ne resta poco, scarsa energia e ancora meno attenzione per provare a indicare misure generali per l’area euro, che magari siano nell’interesse anche dell’Italia.
I governi della scorsa legislatura sono ricordati a Bruxelles più per le dosi di «flessibilità» strappate per sé che per la proposta (che c’è stata) di un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione. Dell’attuale restano impressi tre mesi di schermaglie sul bilancio e un ruolo passivo nel parallelo negoziato sulla riforma dell’area euro. Eppure un’idea su qualcosa da cambiare per il sistema della moneta unica ci sarebbe stata, per quanto tabù sia in alcuni altri Paesi. Si tratta di una proposta che Giovanni Tria aveva messo a punto quando era solo uno studioso poco prima di entrare in carica, e oggi non dimentica. A porte chiuse il ministro dell’Economia ne parla ancora, a maggior ragione ora che l’Italia, la Germania e forse l’intera zona euro sono sulla soglia di una nuova recessione: per l’area a moneta unica sarebbe la terza in un decennio, un sintomo dei propri stessi problemi.
Prima di essere cooptato nel governo, Tria aveva firmato due articoli sull’idea di coinvolgere la Banca centrale europea in un piano di rilancio degli investimenti. Il primo, scritto da solo, si intitola «ripensare il tabù della monetizzazione del debito per salvare l’euro». Il secondo, pubblicato con Ernesto Felli pochi mesi prima di diventare ministro, si concentra sulla «mancanza di coordinamento fra politica monetaria e di bilancio». L’idea di fondo di Tria si aggiunge alla proposta, espressa al «Corriere» di due giorni fa, di togliere gli investimenti dal calcolo del deficit rilevante per Bruxelles. Il ministro ritiene giusto anche muovere un passo in più: la Bce, sostiene, potrebbe acquistare automaticamente i titoli di Stato in più che i governi emettono per fare investimenti. In altri termini, potrebbe monetizzare il debito accumulato dai governi per costruire infrastrutture o finanziare la ricerca e sviluppo. Il «quantitative easing» – la politica di acquisti netti di titoli appena conclusa dalla Bce – per Tria non basta.
«La politica monetaria da sola è insufficiente nelle circostanze attuali. Lo è anche per quanto riguarda il garantire la stabilità finanziaria nel lungo termine», scrive. Secondo lui l’attuale assenza di coordinamento della Bce con le politiche di bilancio dei governi, derivata dell’indipendenza assoluta della banca centrale, «è sbagliata». Al contrario il ministro pensa che esista un modo per sostenere la domanda e far salire il potenziale produttivo in Europa: un «vasto piano di investimenti pubblici infrastrutturali» che «dev’essere finanziato attraverso una monetizzazione esplicita, condizionata e temporanea, a livello europeo per evitare un impatto sul debito».
Tria è convinto che un programma del genere sosterrebbe l’inflazione, la crescita e l’occupazione in area euro anche con interventi della Bce molto più limitati di quelli appena conclusi. Di certo la sua è una visione che la Germania contrasterebbe, in nome dell’indipendenza della Bce e della regola di non stampare moneta al servizio della spesa pubblica. In pubblico, Tria di questo non parla. Sa che il tema è controverso. Sa anche, probabilmente, che potrà parlarne con alcuni suoi colleghi a Bruxelles solo quando l’energia e la credibilità del governo non saranno più erose dalle battaglie per un decimale di deficit in più.