«Se c’è uno di cui mi fido davvero è Di Maio. Adesso ci stanno provando anche qui dentro, a farci litigare… Ecco, Luigi è uno con cui davvero si può governare cinque anni». Sono le ore successive alla tempesta che si è scatenata dopo che Giuseppe Conte ha virtualmente aperto le porte alla Sea Watch, le prime ore di giovedì 10 gennaio. Ai pochi e fidatissimi che riescono a parlarci di buon mattino, Salvini affida l’unica regola d’ingaggio per la comunicazione dei giorni a venire. Che, forse, sarà quella dei mesi a seguire. Il «qui dentro» — dove a suo dire starebbero tentando di mettere lui contro l’altro vicepremier — è Palazzo Chigi. E quindi Conte e tutto il suo staff, comunicazione compresa. Altra cosa, invece, è Di Maio, «uno di cui mi fido davvero», uno con cui «si può governare cinque anni».
Inizia così a prendere corpo, in una fredda mattina di gennaio, una voce destinata ad apparire e sparire a intermittenza fino al 26 maggio, data delle Europee. Quella che rimanda alla possibilità che il M5S, all’indomani della madre di tutte le tornate elettorali del 2019, si divida in due blocchi. Uno fedele all’alleanza con Salvini, guidato da Di Maio. E un altro contrario, al governo e a Salvini, con alla testa Alessandro Di Battista.
Se doveva servire a tracciare un abbozzo di sintesi tra i due mondi, il patto di Capodanno sottoscritto dai due gemelli diversi del M5S pare fallito in partenza. L’uno non perde occasione per difendere la Lega, l’altro si muove in maniera opposta. «La Lega in piazza per la Tav non mi scandalizza», è la posizione del vicepremier. Di Battista la vede all’opposto. La Tav? «Non si deve fare». Con Baglioni o con Salvini? «Baglioni ha fatto benissimo a dire quello che pensa, mi è sempre piaciuto», dice Di Battista. Difficile spacciarlo per un gioco delle parti.
«All’interno dei M5S potrebbe consumarsi presto una spaccatura epocale»,sostengono nell’inner circle del leader leghista. E, stando alle riflessioni condivise ai massimi livelli con il ministro dell’Interno, «dopo la prevedibile sconfitta al voto, Grillo o chi per lui si alzerà per dire che l’esperienza del governo con noi va chiusa subito. E qualcun altro, a cominciare da Di Maio e dalla maggioranza dei parlamentari, sosterrà che dobbiamo andare avanti».
Il tema di una possibile scissione all’interno del M5S, che nelle riunioni della Lega fa capolino da qualche giorno, potrebbe sembrare fantapolitica. Eppure le spie di come Di Maio sia oggi più in sintonia col collega vicepremier che non con l’ortodossia pentastellata (oggi rappresentata dal premier Conte) erano visibili a occhio nudo anche prima delle dispute di ieri su Tav e Baglioni. Sul decreto sicurezza Palazzo Chigi ha aperto a un confronto coi sindaci «ribelli»? Di Maio ha sposato la linea dura di Salvini. La Raggi ha attaccato Salvini sulle forze dell’ordine a Roma? Di Maio s’è schierato dalla parte del Viminale, bacchettando la sindaca. Grillo ha firmato il patto per la scienza promosso dal sito di Roberto Burioni? Di Maio ha preso le distanze dal fondatore del Movimento e in suo soccorso è sceso in campo proprio Salvini.
Che si tratti della difesa a oltranza di «una coppia di fatto» (copyright Salvini) o della tutela di «un rapporto che ha già superato molte difficoltà» (copyright Di Maio), il prezzo della sopravvivenza dell’asse tra i due vicepremier potrebbero essere due scissioni. Quella di Di Maio dal suo presente, quella di Salvini dal suo passato. Un mese fa, a chi gli chiedeva conto dello scouting di FI tra i grillini, che aveva come punto di caduta il primo governo con un leghista premier, il ministro dell’Interno rispondeva con una battuta: «Tra Di Maio e Berlusconi mi fido più di Di Maio. Se mai dovessi andare io a Palazzo Chigi, preferirei andarci con lui». Chissà se era solo una battuta.