Non chiedete a Giovanni Tria se si è riposato un po’. «Veramente sono stanchissimo», dice. Lui, ministro dell’Economia, un accordo con la Commissione Ue sul bilancio l’avrebbe chiuso a settembre, a ottobre, magari anche a novembre. Invece gli imperativi della politica hanno voluto che si arrivasse ai tempi supplementari, cosa che ha obbligato il governo a una marcia a tappe forzate attraverso il parlamento a colpi di fiducia sulla legge di Stabilità sotto Capodanno. Niente vacanze, neanche brevi, per questo professore dal piglio pacato e ironico.
Ministro, lei consigliava un obiettivo di deficit 2019 all’1,9% del Pil. Dopo molte curve e improperi, si è arrivati al 2,04%. Si sente un po’ vendicato dai fatti?
«Io non ho ricevuto improperi», sorride Tria.
I suoi collaboratori sì…
«Non per il bilancio. Ma non è che mi senta vendicato io, credo che alla fine il governo abbia saputo prendere le decisioni giuste nell’interesse dell’Italia. Le scelte non sono mai facili, specie in una fase di forte rallentamento economico: tra giugno e settembre e poi in seguito il quadro italiano ma anche europeo – il nostro come conseguenza di quello generale – è fortemente cambiato. E si è posto il dilemma se accentuare una politica espansiva per farvi fronte o stare più attenti al deficit, che in una frenata tende a peggiorare».
Olivier Blanchard, ex capoeconomista Fmi, in ottobre ha definito la vostra manovra «un’espansione del bilancio che contrae l’economia».
«Blanchard ha anche scritto il contrario di recente. In questo senso: già a settembre era chiaro che l’economia stava rallentando e che si doveva fare attenzione, pur essendo il momento adatto a una politica espansiva di contrasto al ciclo negativo. Il problema era che, una volta disinnescati gli aumenti Iva lasciatici dal governo precedente, il deficit 2019 tendeva già quasi al 2% del Pil. Non c’era molto spazio. Ugualmente, prevalse l’idea che si dovesse essere espansivi per sostenere la ripresa. Lì c’è stata una divergenza, io ero più dell’opinione che si dovesse mantenere un deficit più contenuto. Poi la situazione economica è peggiorata in Europa e in Italia. Si è capito che c’era un forte rallentamento, quindi abbiamo avuto i dati della Germania…».
Quanto della frenata di cui lei parla è dovuto alla tensione di mercato che l’Italia ha generato intorno a sé da maggio in poi?
«Punto interessante, perché nei dati si vedeva che la produzione industriale andava male, gli investimenti rallentavano, lo spread saliva. Si è visto che c’era un problema di fiducia sui mercati e rischiavamo che la nostra manovra espansiva finisse sterilizzata dalla stessa instabilità finanziaria. La manovra non era capita, dunque non si poteva tenere quella posizione. In realtà poi abbiamo visto nella produzione industriale che l’Italia non sta andando peggio di Germania o Francia».
Come Paese siamo in recessione?
«Aspettiamo i dati sull’ultimo trimestre 2018. Non vedo una recessione, vedo una situazione di stagnazione».
Non era meglio decidere di evitare la procedura magari già a inizio novembre? Avreste dato spazio al parlamento sul bilancio…
«C’è un problema di maturazione delle scelte. Ha richiesto tempo. Ma il governo è stato capace di avviare un processo di conoscenza della realtà, di come essa cambiava e di adattare le scelte. Se c’è un’eterogenesi dei fini – sia che la manovra fosse sbagliata, o non capita – bisogna prendere atto della realtà. Non sempre accade».
Lei ha detto che non intende lasciare, ma a un certo punto ci ha pensato. Esiste una lettera di dimissioni già scritta, se di nuovo il governo prendesse una strada che lei non condivide?
«Non c’è mai stata una lettera di dimissioni, neppure nella mia testa. È chiaro che se in futuro il governo impazzisse… Anche Salvini si dimetterebbe se il governo aprisse le strade all’immigrazione (ride, ndr). Ma un ministro dell’Economia non si dimette così, alla leggera, c’è un senso di responsabilità. Alla fine si è dimostrato che il dialogo con Bruxelles è sempre rimasto aperto».
Nell’ultimo aggiornamento del quadro economico del Tesoro c’è un aumento di entrate di 0,3% del Pil: cinque miliardi di tasse in più nel 2019. Spiegato da un aumento di 0,5% di Pil (8 miliardi) sui produttori. Non dovevate ridurre le tasse?
«Bisogna confrontare la pressione fiscale a cui tendevamo nel 2019 e quella programmatica dopo la nostra legge di Bilancio. Questa è diminuita».
Il suo ministero scrive l’opposto: più pressione fiscale quest’anno che nel 2018.
«Ma la legislazione vigente l’anno scorso comportava l’innesco di una clausola di salvaguardia Iva da 12,5 miliardi, con cui le tasse sarebbero salite molto di più. L’abbiamo disinnescata. E la maggior parte delle riduzioni di tasse sui produttori per il 2019, per quanto limitate, hanno effetto zero quest’anno perché hanno effetti in termini di cassa sul prossimo. Per esempio sugli utili reinvestiti».
Lei dice che in Italia vanno incoraggiati gli investimenti. Eppure nel vostro documento rispetto al 2017 e 2018, nei prossimi tre anni il tasso di crescita degli investimenti si dimezza da oltre il 4% a poco più del 2%.
«Lì si parla degli investimenti complessivi, pubblici e privati. È il risultato della nuova fase, del forte rallentamento dell’economia».
Anche a tre anni?
«A tre anni non sappiamo. Spero che nel secondo e terzo anno quelle stime siano sbagliate per difetto, ma non ci sono indicatori che ci permettano automaticamente di farcelo mettere nero su bianco. In realtà il rilancio degli investimenti resta centrale della strategia di politica economica».
Ministro, restano clausole di aumento di Iva e accise: 23,1 miliardi l’anno prossimo più 28,7 nel 2021. Il vicepremier Luigi Di Maio ha detto che questi aumenti non scatteranno, ma senza di essi il deficit va oltre il 3% del Pil. Non è che sacrificherete di nuovo gli investimenti?
«È un problema che abbiamo in parte ereditato».
Però le clausole per i prossimi anni le avete aumentate.
«Intanto per quest’anno siamo riusciti a toglierle raggiungendo un deficit che ci consente di evitare la procedura. A un certo punto non avevamo spazio e abbiamo aumentato quelle clausole. Dunque dovremo affrontare il problema con una maggiore crescita. Non è che si dice questa misura si tocca o non si tocca: si affronta la realtà. Siamo riusciti a farlo quest’anno, vedremo il prossimo. Ma non lo faremo tagliando gli investimenti, neppure quest’anno l’abbiamo fatto. Anzi ci sono tre miliardi in più».
La spesa pubblica sale per reddito di cittadinanza, pensioni, investimenti. Ma tagli? Lei non ha nominato un capo della spending review…
«Non c’è il commissario, ma c’è la norma sugli obiettivi di spending review per ogni ministero. Non ho mai creduto ai commissari, non mi pare che abbiano dato grandi risultati. La spending va fatta mettendo in moto le strutture».
La crescita 2019 sarà molto bassa. In più, i debiti commerciali dello Stato diventeranno finanziari, quando Cassa depositi e prestiti (Cdp) anticiperà al governo i pagamenti. Lei garantisce che nel 2019 il debito/Pil scenda?
«Il debito scenderà, è l’impegno del governo. Il calo sarà positivo per la crescita, poi questa dipenderà molto dalla politica monetaria e dalla congiuntura internazionale. Tra l’altro, sembra di vedere più cautela nelle politiche della Fed e di altre banche centrali».
Una revisione in basso del Pil nel 2019 farà emergere un deficit sopra il 2,04%?
«Il disavanzo verrà tenuto in ogni caso sotto controllo con un’attenta azione di monitoraggio che è stata prevista e rafforzata con norme specifiche».
Per fare 18 miliardi di privatizzazioni nel 2019 trasferirete le partecipazioni del Tesoro a Cdp? La Ue permette operazioni solo contabili?
«Stiamo studiando la questione».
Alla fine, il problema dell’Italia con Bruxelles lo considera risolto o rinviato?
«Io dico che, per ora, è risolto. Ovviamente in futuro c’è il tema del debito e della crescita con cui si aggiusta l’economia. Quando ci si avvia per questa strada, bisogna sapere che i problemi non sono mai risolti: non per l’Italia, non per la Francia e per i vari Paesi».
Il problema sono le regole europee?
«Io mi auguro che in futuro le regole possano essere cambiate. Non per fare finanza allegra, ma perché credo che il Fiscal compact sia sbagliato».
Perché sbagliato?
«Fu approvato in un momento molto particolare. Sono regole rigide che non permettono di affrontare bene il ciclo economico. Credo che vadano cambiate nell’interesse sia della crescita, sia della stabilità finanziaria e sociale».
Per togliere gli investimenti dal calcolo del deficit?
«Sarebbe da fare. È chiaro che ci debba essere una regola di bilancio, non possiamo lavorare senza regole comuni. Ma questa sugli investimenti è un’operazione che andrebbe fatta: sta in tutte le regole dell’economia».
Siete già in ritardo: ce la fate a partire il primo aprile con il reddito di cittadinanza?
«Questo è il programma».
Senta, in Italia chi governa parla del bilancio come fosse solo fonte di regali per gli elettori. Ma qualche sacrificio da qualche parte dovrà pur esserci, no?
«La capacità di evolvere di questo governo è stata dimostrata nei fatti. In democrazia è anche necessario ottenere il consenso e non solo quello elettorale: serve anche quello che crea fiducia. Qualunque governo deve saper evolvere. Questo è partito da un contratto, come altri governi partono da un programma. Poi il mondo cambia e uno deve affrontarlo così com’è: non solo per quello che ha detto nel programma elettorale».
Ministro, c’è qualcosa che non la fa dormire la notte?
«La disoccupazione. Non è tollerabile che un governo della sua proiezione programmatica veda la disoccupazione ancora sopra al 10%. Vanno rafforzati la crescita e rilanciati gli investimenti».