L’ipotesi che piace al governo di una soluzione che porti al Carige nelle braccia di Mps è in salita, molto in salita. La suggestione politica si fonda sul presuppposto di trovare una collocazione “strategica” al Monte dove oggi lo Stato è socio di maggioranza e di soccorrere Carige, nell’ipotesi in cui non si trovino capitali privati ( e banche) disposti a scendere in campo.
Ma sull’altro piatto della bilancia pesano i vincoli con Bruxelles e le necessarie autorizzazioni, nient’affatto di rito: in occasione del – sofferto – disco verde della Commissione Ue alla ricapitalizzazione precauzionale, Mps si impegnò, tra l’altro, a non realizzare operazioni di fusione e acquisizione. Anzi, deve ancora lanciare un subordinato da 750 milioni e entro giugno il suo principale socio, il Tesoro, deve presentare alla Commissione un piano sulla privatizzazione di Mps.
Comunque, in caso di intervento su Carige, Mps dovrebbe a sua volta lanciare un aumento di capitale: difficile anche la strada di far intervenire la Cassa depositi e prestiti nell’operazione. Cdp, in caso di partecipazioni bancarie dirette diventerebbe infatti a sua volta gruppo bancario, con tutte le conseguenze proibitive – sulle partecipazioni industriali.
Questo non significa che il problema di mettere in sicurezza Carige non sia sul tappeto. Il primo passaggio sarà rinegoziare un tasso meno esoso con il Fondo volontario del sistema bancario, che ha sottoscritto il bond da 320 milioni: un primo incontro si terrà tra lunedì e martedì, mentre prosegue il piano di derisking della banca. I commissari puntano a cedere 1,5- 1,8 miliardi di crediti dubbi (su un totale di 2,8 miliardi) in tempi rapidi: sono in corso « contatti preliminari » con la Sga, la società interamente posseduta dal Tesoro. La Sga aveva partecipato all’ultimo aumento di Carige, sottoscrivendo il 5,4% del capitale, pagando 30 milioni ( su cui ha ricevuto commissioni per 1,5 milioni). Già nel bilancio 2017 aveva fatto sulla quota rettifiche per 5,9 milioni e poi nel corso dei mesi successivi ha venduto buona parte del pacchetto; attualmente dovrebbe essere intorno all’1,5%.
Il successivo passaggio dei commissari Carige sarà il piano industriale,finalizzato a trovare un partner. Al potenziale sposo la banca cerca di proporre un doppio binario di opzioni: la penetrazione in un’area in cui non ha presenza e/o una serie di vantaggi in termini di crediti fiscali, modelli interni e “add on” che in caso di fusione verrebbero tolti. Alcune banche – per esempio Unicredit o forse Ubi – potrebbero essere interessate agli aspetti finanziari, altre ( per esempio Bper, ma anche Banco Bpm) potrebbero puntare di più sull’estensione della rete territoriale.
Ma potrebbe non esserci solo l’Italia nel destino di Carige. Ad esempio a più riprese si è parlato di Bnp Paribas, che potrebbe consolidare la sua presenza in un’area geografica, quella della Liguria e della Toscana del Nord, considerata sempre interessante. E sempre pensando alla Francia, l’altro soggetto cui guardare potenzialmente è il Credit Agricole. Il gruppo è già presente in Liguria con Carispe, l’istituto spezzino che sta crescendo parecchio sul territorio. In ambienti finanziari si è di recente fatto il nome anche di Deutsche Bank, La stessa Ubs, che per il momento ha il compito di cercare potenziali alleati, potrebbe decidere di esaminare l’acquisizione della banca stessa. Ma siamo davvero nel campo delle ipotesi.