La Confartigianato ha scelto con cura lo slogan della sua manifestazione nazionale di ieri. «Quelli del Sì» contiene infatti un messaggio importante diretto alla politica, alla società italiana e forse anche agli interlocutori che ci guardano al di là delle frontiere. Il «Sì» pronunciato ad alta voce e con ricchezza di argomentazione dai 1.500 artigiani convenuti a Milano è parso andare al di là del ribadimento della tradizionale antropologia positiva del ceto medio produttivo, operazione che comunque già da sola sarebbe valsa oro visto lo scivolamento cattivista che il Censis ha registrato nella società italiana della fine degli anni Dieci. Il «Sì» di ieri è più ampio, ci dice che i Piccoli non solo «sono abituati a costruire e non a distruggere» (come ha ricordato dal palco il presidente Giorgio Merletti) ma con i loro 4 milioni di imprese sono schierati per l’economia aperta.
L’enfasi conferita al tema delle infrastrutture contiene proprio questa traccia: la piccola impresa chiede di essere connessa sia materialmente sia immaterialmente ai processi di sviluppo in corso. È vero, per carità, che molti degli iscritti alle associazioni artigiane sono legati con le loro aziende al ciclo del mattone e quindi interessati in prima persona alla ripresa delle grandi e piccole opere ma la manifestazione del Sì ha visto gemellare a mo’ di refrain ripetuto più volte infrastrutture ed euro, come due facce inscindibili della convinta adesione all’economia aperta e integrata.
Detta più chiaramente se i sovranisti hanno mai pensato di poter arruolare i Piccoli nel loro disegno di un’Italia autarchica e rivolta solo a sussidiare il mercato interno, consiglio loro di ripassare alla moviola il video della manifestazione di ieri. Sul palco non c’erano gli odiati economisti liberal o i nipotini di Soros, c’era un pezzo consistente di popolo italiano. Anzi, quella che è considerata in virtù della pervasività delle piccole imprese la spina dorsale del Paese. Se i sovranisti avevano sognato che questo popolo rifiutasse l’apertura e invocasse un mix di protezionismo e aiuti statali è bene che si sveglino. Non è così. Le felpe blu della Confartigianato non assomigliano nemmeno da lontano ai gilet jaunes . Hanno fatto un’altra scelta che considero più preziosa delle stesse (puntuali) critiche che pure hanno rivolto in queste settimane all’operato del governo sulla legge Dignità o sul reddito di cittadinanza o su altro ancora.
Le Pmi italiane hanno nel corso del nuovo secolo già pagato un ampio tributo ai mutamenti dell’economia globale, i sette anni della recessione uniti alla concorrenza cinese sui prodotti a basso valore aggiunto hanno decimato il gruppo. La ripresa che è venuta dopo è stata intercettata con maggiore capacità dalle multinazionali tascabili e il fronte dei Piccoli si è come polarizzato.
Chi ha saputo diventare fornitore delle medie imprese internazionalizzate ha svoltato, gli altri sono rimasti a bagno maria. È soprattutto su di loro che incombe il pericolo di una nuova recessione e quindi di una seconda dura selezione darwiniana. Davanti a scenari come questi che fanno tremare i polsi le felpe blu scelgono con coraggio di giocare la carta dell’apertura, sia sul piano politico rifiutandosi di diventare il retroterra del sovranismo sia in campo economico chiedendo sviluppo, modernizzazione, aggancio all’Europa. Non era un posizionamento scontato e perciò va salutato con favore e interesse. Chi continua ad accettare di misurarsi con il rischio d’impresa, chi mette in gioco di nuovo il proprio progetto di vita, chi sceglie la via della responsabilità, merita rispetto.