Sabato è stata una giornata di protesta. In Francia sono proseguite le manifestazioni dei Gilet Gialli, che durano da quasi un mese. Mentre in Italia si sono svolte diverse iniziative, contro diversi bersagli. La Tav, a Torino. Il Tap, nel Salento. Sabato, inoltre (anzitutto?), la Lega – di governo e di protesta – è confluita a Roma, con i suoi militanti e i suoi sostenitori. In massa. La Lega. Ha archiviato la propria storia. E la geografia. Il percorso, iniziato da tempo, ora si è concluso. Un passo dopo l’altro, la Lega (dal Nord) è arrivata a Roma.In Piazza (del Popolo) ha gridato, insieme a Salvini: “Prima gli italiani”. Cioè: “prima l’Italia”.”Roma”: in pochi anni, ha cessato di essere “ladrona”, com’era apostrofata dai leghisti. E i confini della “patria padana” si sono allargati. La “Lega Nord” è divenuta Lega – e basta. La Padania: un ricordo, che si preferisce non ricordare. E il Nord, oggi, viene dopo l’Italia.Mentre la Padania è scomparsa dal lessico leghista. Perché per Salvini viene “Prima l’Italia.Pensare che vent’anni fa, nel 1996, di fronte alle difficoltà dell’Italia di approdare alla (oggi) famigerata area dell’Euro, gli slogan della Lega scandivano: “L’Italia non può entrare in Europa, ma la Padania sì”.
Vent’anni. Un altro secolo. Un altro universo. Politico. Perché, allora, la Lega di Bossi, dopo aver rotto l’accordo di governo con Berlusconi, marciava lungo il Po, evocando e invocando la secessione. Con scarso seguito popolare, ma con ampio seguito elettorale, visto che nello stesso anno, il 1996, superava il 10%. Il massimo risultato della sua storia (insieme alle Europee del 1999), prima dell’avvento di Salvini, alla fine del 2013. La Lega-di-Salvini, come abbiamo già scritto, è una Lega Nazionale. Versione italiana del “Front (oggi Rassemblement) National” di Marine Le Pen. Amica personale di Salvini.Euro-scettica, come lui. Almeno, fino a quando (gli) risulterà utile. Ed è una “Lega personale”: LdS. Appunto.
Costruita intorno alla sua figura e alla sua persona. Con grande competenza sul piano mediatico e della comunicazione. Grazie a uno staff di specialisti di alto livello. Il Capo l’ha trainata in alto. In pochi anni. Dal 4%, ottenuto alle elezioni politiche 2013, al 17% conseguito il 4 marzo 2018. Oggi i sondaggi attribuiscono alla Lega oltre il 30%. Certo i sondaggi restano sondaggi e il voto spesso li smentisce. Ma sono, comunque, utili a rilevare le tendenze. A riprodurre (magari anche a “condizionare”…) gli orientamenti dell’opinione pubblica. La Lega di Salvini, dunque, svetta su tutte le altre forze politiche, nelle preferenze degli italiani. Soprattutto, perché è andata oltre il passato.
Oltre il Nord. Dove continua, ovviamente, a ottenere i risultati più “importanti”. Nel Nord Ovest, infatti, è stimata (dall’Atlante Politico di Demos) quasi al 38%. Ma, nel Nord Est, è intorno al 43%. Nelle Regioni del Centro, invece, fino al 2013, era debolissima. E a Sud non esisteva proprio. Oggi, però, non è più così. Infatti, nelle Regioni (un tempo) rosse del Centro, la Lega di Salvini (nei sondaggi) è sopra al 30%. Nel Centro-Sud: oltre il 27%. E nel Mezzogiorno ha raggiunto il 18%. Per questo, la Lega ha rinunciato al Nord. Nel nome. Perché ha cambiato identità. È divenuta, come si è detto, un “partito personale”. Tanto che nel Centro Sud la fiducia nei confronti di Salvini sfiora il 70% Mentre nel Mezzogiorno risulta, comunque, pari alla media nazionale (60%). La Lega, però, oggi è soprattutto un partito di Destra. A Destra, infatti, si colloca il 30% dei suoi elettori. Mentre il 37% si dice di Centro-Destra. Ha, infatti, occupato lo spazio lasciato vuoto da An e, oggi, da Fi. Intercettandone molti elettori.
Una tendenza, per la verità, cominciata nel decennio scorso, dopo che, negli anni Novanta, aveva ereditato, in parte, i consensi della tradizione democristiana. Del Nord “produttivo”. Per questo la manifestazione di Roma conferma la “centralità” della Lega. Ma ne sancisce anche la mutazione genetica. Ne accompagna e scandisce la marcia verso il Centro dello Stato. Del Paese. Verso la Capitale. Una marcia che potrebbe proseguire ancora. Verso Sud. Dove, alle elezioni di marzo, si è imposto il M5s. Alleato di governo della Lega. Ma, anche, concorrente… Così, non mi stupirei se la prossima manifestazione avesse luogo a Napoli. Dove, peraltro, il vice-premier, Salvini, negli ultimi mesi, si è già recato in alcune occasioni. Suscitando proteste, ma anche consensi.
Il tradizionale rapporto fra politica e territorio, in Italia, appare, quindi, in profondo mutamento. Perché si assiste al declino della Questione Settentrionale, “scritta”, negli anni Novanta, dalla Lega (di Bossi). Che oggi guarda “oltre”.
Mentre, riemerge la “questione meridionale”, come ha segnalato Angelo Panebianco. Agitata dal malessere del Sud: “rappresentato” dal M5s. Il quale, peraltro, continua la sua polemica contro le “grandi opere” e ha sostenuto la marcia dei No Tav, a Torino. Mentre la Lega resta, comunque, vicina ai ceti produttivi. Che la settimana precedente hanno manifestato a favore della Tav. Così, il Nord non ha (e non è) più “una” bandiera. Il Sud è “conteso”. Fra M5s e Lega.
Cioè, fra i soci del governo. Insomma, l’Italia ha perso la bussola. Insieme ai colori della mappa politica – tradizionale e recente. È lecito attendersi altri cambiamenti. Per citare un motto assai noto – e significativo – della recente storia francese: “Ce n’est qu’un début”.