Sono 27 le grandi opere italiane di importo superiore a 100 milioni ferme, in bilico o congelate e valgono un investimento complessivo di 24,6 miliardi. Il monitoraggio stavolta lo ha fatto l’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori, con il proprio sito sbloccantieri.it che ha per obiettivo censire a tutto campo le opere bloccate. Si va dalla gronda di Genova, che vale 5 miliardi, al completamento dell’ospedale Morelli di Reggio Calabria che ne costa 114,9.
Le grandi opere ferme sono concentrate maggiormente al Nord (si veda la mappa pubblicata in alto): 16 opere per un totale di 16 miliardi di euro di investimento.
Questo spiega perché proprio dal “Nord produttivo” siano partite le contestazioni più dure al governo e la richiesta di un rilancio immediato dei cantieri bloccati. Il tema delle infrastrutture bloccate o a rilento non è certo una novità attribuibile solo a questo governo. E in effetti nella protesta delle imprese c’è un allarme più generale, che va dalle leggi farraginose ai passaggi infiniti di approvazione delle opere dalla burocrazia infinita all’eterna riprogrammazione delle priorità a seconda del colore politico si scagliano ora le imprese unite. Il grande male che tutti promettono e nessuno riesce a risolvere.
Non c’è dubbio, però, che il bersaglio delle imprese sia anche il governo attuale in modo puntuale. L’accusa è quella di fare poco o nulla per la crescita, sia nella manovra, dove si tagliano gli incentivi per industria 4.0, sia proprio per le infrastrutture. Un governo che a parole vuole rilanciare gli investimenti pubblici ma poi si attarda nel fare per l’ennesima volta l’analisi alle singole opere. Con un conflitto interno fortissimo fra la Lega che le opere infrastrutturali vuole farle di corsa e i Cinque stelle che hanno nel proprio dna costitutivo movimenti come i “no Tav” capaci di orientare pesantemente il consenso pro o contro il Movimento nelle regioni dove operano. Un conflitto che genera paralisi quando le stesse ricette di politica economica del governo richiederebbero che sullo sblocco di grandi e piccole opere si corresse.
Le opere ferme, per altro, non si trovano soltanto al nord perché anche nel centro-sud il monitoraggio Ance ha individuato numerose opere: quattro al centro per un investimento di 5,3 miliardi e sette nel Mezzogiorno per 3,1 miliardi di euro. L’Ance calcola l’effetto che produrrebbe uno sblocco di tutte le opere ferme: impatto sull’economia (compreso l’indotto) per 86 miliardi e 380mila posti di lavoro.
L’altro argomento che usa l’Ance riguarda i fondi Ue per le infrastrutture prioritarie. L’Italia si colloca al terzo posto, con un aiuto di 1,5 miliardi (su un investimento di 3,8), fra i paesi europei beneficiari dopo Germania e Francia. La Torino-Lione è la prima opera beneficiaria con 451 milioni. «Mettere in discussione il progetto – dice Ance – significa mettere a rischio i finanziamenti europei, oltre a rischiare una penale».