Il Pil più alto d’Europa, con una dimensione più umana rispetto alle grandi città americane («L’area urbana di Minneapolis è più grande» è il paragone del sindaco di Genova Marco Bucci) e delle megalopoli cinesi. È la forza del Nord Ovest che ieri nell’assemblea degli industriali genovesi, ha siglato un patto su aziende, infrastrutture e politica. «Non sono mai stato secessionista, ma serve autonomia»: è il governatore piemontese Chiamparino a voler accelerare il piano della cabina di regia che aveva siglato con i vicini di regione Giovanni Toti (Liguria) e Roberto Maroni (Lombardia), un paio di anni fa, sollecitato sul palco dalle domande del direttore de La Stampa, Maurizio Molinari.
Ora qualcosa è cambiato: nel capannone di Ansaldo Energia a pochi chilometri da quello che è rimasto in piedi del Ponte Morandi, il successore di Maroni, Attilio Fontana non c’era, ma i due colleghi lo hanno chiamato in causa: «Tocca a lui adesso convocare il prossimo incontro» scherza Toti, ma si aspetta seriamente che il tavolo arrivi presto. In ballo c’è il coordinamento della macro regione del Nord Ovest: «Non penso a una struttura amministrativa con poltrone da piazzare. Quanto a riunioni, magari periodiche, tra i nostri assessori su diversi temi» spiega Chiamparino. In cima alla lista strategica delle tre regioni ci sono le infrastrutture, per la Liguria i porti: «Così sulla richiesta di autonomia al governo sono ottimista. Poi, che il governo lasci i 5 miliardi di gettito Iva generati dai porti nelle mani della Regioni, la vedo difficile». Ma se a Roma al tavolo di contrattazione partecipano tre presidenti, le chances aumentano. E il piano è pronto: «Penso al coordinamento che possiamo fare sugli aeroporti delle tre regioni e al turismo» specifica Chiamparino.
Competizione europea
Le grandi opere rimangono però il tema portante della grande alleanza. E gli imprenditori spingono. Il Pil del Nord Ovest senza infrastrutture rischia grosso: colpa del crollo del Morandi che costa 784 milioni all’anno di impatto sull’economia dell’area, secondo i dati diffusi da Confindustria Genova. E poi c’è il pericolo delle occasioni mancate: «Se avessimo le infrastrutture della Germania – spiega Carlo Bonomi, il numero uno di Assolombarda – il nostro export potrebbe crescere anche del 70% e la “bolletta” della logistica per le nostre aziende sarebbe più leggera di 3 miliardi». In discussione in Lombardia c’è la Pedemontana, in Piemonte la Torino-Lione: «Sulla direttrice francese il traffico ferroviario è solo l’8%, il resto viaggia su camion – spiega Dario Gallina, il presidente dell’Unione industriali di Torino – Dobbiamo ribaltare questi numeri come hanno fatto in Svizzera». Per questo l’analisi costi-benefici che sta eseguendo il ministero di Danilo Toninelli viene smontata dagli imprenditori: «Non si può giudicare un’opera guardando i dati del 2008 – attacca Bonomi – Bisogna guardare al futuro». «L’esame del Mit non può mettere in discussione un’opera come il Terzo valico che ormai non si può più fermare» dice Giovanni Mondini, il numero uno degli industriali genovesi, anche perché bisogna recuperare quei «600 mila contenitori che dal Nord Italia partono verso Rotterdam per raggiungere via mare gli altri mercati, invece di scendere nei porti liguri» dice Bonomi che cita il «modello greco»: «Come è stato fatto per il porto del Pireo che quando è stato privatizzato e ceduto ai cinesi è cresciuto del 300%». È la partnership tra pubblico e privato la strada che gli industriali vogliono percorrere anche sul fronte dei finanziamenti.
I fondi mancati
Gli investimenti sulle infrastrutture sono calati drasticamente: «Dieci anni fa investivamo il 3,2% del Pil sulle infrastrutture. Oggi siamo solo al 2%» dice Bonomi e per questo il leader degli industriali lombardi elenca le occasioni perdute sul fronte europeo: «L’Europa non è solo matrigna: ci sono 44 miliardi di euro in Italia per i trasporti: ne abbiamo spesi pochissimi. Poi altri 24 miliardi dai fondi Cef e 750 miliardi dal Ten-T». Un tesoretto spesso già disponibile e non sfruttato: «Per questo chiedo ai governatori di intercettare quei fondi». La ricetta di Boccia punta invece sulle politiche economiche nazionali: «Invece che spostare gli investimenti basterebbe spostare la manovra di due mesi perché 18 miliardi diviso dodici mesi sono un miliardo e mezzo, e si può realizzare una grande opera infrastrutturale per il Paese, alla faccia degli sprechi».